ALTRO PARADOSSO DI MOLTI PRO-PAL: NETANYAHU VIENE VISTO COME IL NUOVO HITLER MA IGNORANO L'OPPOSIZIONE INTERNA CHE VUOLE LA CADUTA DEL "DITTATORE" E LA FINE DELLA GUERRA

da parte di Alfonso Navarra - 2 settembre 2025
(Seguono: 1) interventi con note a commento di Jeffrey Sachs e Raniero La Valle; 2) documentazione. Le due proposte dei Disarmisti esigenti per il ricorso a Uniting for peace e per organizzare un Ambasciata di pace suffragando Barghouti libero come Mandela partner di pace).
L'idea di limitarsi a una pressione esterna contro Israele vista come blocco unico identificato con il governo Netanyahu - o peggio, come "entità sionista" colonialista e razzista nel DNA - è un atteggiamento che non funziona e non produce risultati: i quali devono essere possibilmente immediati, in particolar modo e misura, quando il problema urgente è impedire una carestia dietro l'angolo!
C'è chi pensa che Israele oggi sia il Terzo Reich redivivo, molti lo dicono pure ad alta voce, ma come giudicheremmo oggi chi, a suo tempo, avesse ignorato una rivolta maggioritaria della popolazione tedesca contro Hitler, se se ne fosse venuti a conoscenza? Se Bibi Netanyahu, per costoro, è l'erede di Hitler, il nuovo Hitler (questo, ripeto, secondo molte posizioni estremiste correnti, più o meno esplicitate), che penseremmo oggi degli antifascisti che avessero chiuso gli occhi di fronte a una enorme rivolta popolare contro il "dittarore" sanguinario e razzista?
Mostrare attenzione alla pressione interna israeliana, in particolare quella esercitata dalle famiglie degli ostaggi, allora è un'ottima strategia, che fa riferimento a conoscenze elementari, "digerite" in particolare da chi ha vinto rivoluzioni pacifiche e nonviolente, ma dovrebbero essere appannaggio scontato anche per coloro che dispongono di un minimo di buon senso.
La forza della pressione interna
Dobbiamo tener presente che i governi "dittatoriali", ce lo insegna la Storia, sono più sensibili alla pressione dei propri cittadini che a quella degli altri Stati. Le sanzioni internazionali, sebbene importanti, possono essere presentate dal governo al proprio popolo come un'aggressione esterna che cementa il consenso e il nazionalismo. Le proteste interne, al contrario, sono la prova di una crisi di fiducia e di legittimità. Un governo che deve reprimere il dissenso della propria popolazione per mantenere le proprie politiche ha evidentemente fallito in un compito fondamentale.
La pressione delle famiglie degli ostaggi, in particolare, è moralmente inattaccabile. Le loro richieste non sono di natura politica, non chiedono territori o ideologie, ma semplicemente il rispetto di un dovere primario e universale di ogni Stato: proteggere e salvare la vita dei propri cittadini. Questo rende il loro movimento immune dalla maggior parte delle critiche e capace di travalicare le normali divisioni politiche.
Dalla critica alla ricerca di un partner per la pace
Le nostre considerazioni e proposte sull'Ambasciata di Pace - per Barghouti libero sul modello Mandela - spostano il focus da un'azione puramente punitiva a una più strategica e costruttiva. Invece di limitarsi a criticare un intero blocco, si cerca un partner di pace all'interno della società israeliana stessa.
Questa strategia permette di:
- Isolare il governo attuale: Appoggiando l'opposizione interna, si isola il governo intransigente, mostrando che la critica non è rivolta all'intera società israeliana, ma a una specifica leadership che non è disposta a negoziare.
- Dare voce a una soluzione: Il movimento delle famiglie degli ostaggi non si limita a protestare contro la guerra, ma propone un percorso concreto per fermarla, che ovviamente passa per la liberazione dei prigionieri. Questo si allinea con l'obiettivo più ampio di costruire la pace.
- Creare un ponte: La causa degli ostaggi che chiedono di fermare la guerra può diventare un punto di convergenza per le forze internazionali che non vogliono essere viste come antisraeliane. Si può agire per la pace e la cessazione delle ostilità appoggiando una richiesta profondamente sentita e legittima all'interno di Israele, evitando così di essere etichettati come schierati a senso unico. Dove se ne va a finire l'"equivicinanza" con i popoli se non si riconosce il diritto ad esistere dello Stato di Israele?
Un programma politico che mette in evidenza queste dinamiche dimostra, credo, una profonda comprensione strategica dei metodi nonviolenti di mediazione per la pece, riconoscendo che i cambiamenti più significativi spesso nascono da una pressione interna e popolare, non da imposizioni esterne.
Ma ovviamente tutta la cecità dei Pro Pal più accaniti si spiega se l'obiettivo quasi ossessivo di chi si muove (obiettivo più o meno consapevole, per moltissimi è inconscio) non è il "vogliamo vivere" dei popoli, ma il "distruggere – a parole, perché nei fatti poi la si rafforza - l'"entità sionista", accomunando tutti i suoi componenti in una unica e paritaria responsabilità criminale.
Difatti, da parte della frangia estremista, si vorrebbe un unico Stato "dal fiume al mare" e si è già archiviata la direttiva ONU dei "due popoli due Stati": ma questo atteggiamento cosa c'entra con l'emergenza umanitaria in nome della quale si giustificano, magari anche a sé stessi, le proprie prese di posizione, "pacifiste" solo per autoproclamazione immeritata ed abusiva?

Come impedire ad Israele di affamare Gaza
Jeffrey D. Sachs & Sybil Fares | September 1, 2025
Nota di Alfonso Navarra
alcune che potrebbero essere prese in considerazione in un quadro di pace futuro:
Garanzie di Sicurezza e Smilitarizzazione
Questo è l'aspetto più immediato e cruciale per Israele. Le garanzie di sicurezza andrebbero oltre la semplice assenza di attacchi e potrebbero includere:
Smilitarizzazione dei territori confinanti: Accordi che prevedano la cessazione di attività militari ostili da parte di gruppi non statali in aree come Gaza e la Cisgiordania, con un sistema di monitoraggio internazionale per garantire il rispetto degli impegni.
Contenimento delle minacce esterne: Impegni da parte dei Paesi confinanti di impedire a potenze straniere (come l'Iran) di utilizzare i loro territori per lanciare attacchi o armare gruppi ostili a Israele.
Controllo delle frontiere: Meccanismi di cooperazione per prevenire il contrabbando di armi e la costruzione di infrastrutture militari offensive, come i tunnel.
Garanzie di Riconoscimento e Normalizzazione
Per Israele, il riconoscimento del suo diritto a esistere è un punto fermo. Le garanzie in questo ambito potrebbero consistere in:
Riconoscimento diplomatico: La normalizzazione delle relazioni diplomatiche con tutti gli Stati arabi e musulmani, non solo quelli che hanno già firmato gli Accordi di Abramo. Questo porterebbe alla fine dell'isolamento politico di Israele nella regione.
Accettazione del diritto di esistere: Una dichiarazione formale da parte di tutti gli attori regionali e delle organizzazioni politiche palestinesi che riconosca esplicitamente il diritto di Israele a esistere come Stato ebraico, senza ambiguità.
Garanzie Internazionali e Multilaterali
Il coinvolgimento di potenze e organismi internazionali può rafforzare la fiducia e la stabilità. Tali garanzie potrebbero includere:
Forze di peacekeeping: Il posizionamento di una forza di interposizione o di monitoraggio internazionale, includente Caschi Bianchi e Corpi Civili di Pace, sotto l'egida delle Nazioni Unite o di altri organismi, per supervisionare la sicurezza e prevenire le violazioni.
Garanzie economiche: Accordi regionali che leghino il benessere economico e la prosperità dei Paesi confinanti alla stabilità e alla pace. Questo creerebbe un interesse comune a mantenere l'ordine.
Impegni di sicurezza da parte di terze parti: La partecipazione dell'Unione Europea o di altre potenze come garanti del processo di pace, con l'impegno a intervenire in caso di violazioni degli accordi.
Il testo dell'articolo di Jeffrey Sachs inizia qui.
Israele ha oltrepassato il limite netto dei crimini più oscuri.
Israele, con la complicità degli Stati Uniti, sta commettendo un genocidio a Gaza attraverso la fame di massa della popolazione, nonché omicidi di massa diretti e la distruzione fisica delle infrastrutture di Gaza. Israele fa il lavoro sporco. Il governo degli Stati Uniti lo finanzia e fornisce copertura diplomatica attraverso il suo veto ONU. Palantir, tramite "Lavendar", fornisce l'intelligenza artificiale per un omicidio di massa efficiente. Microsoft, tramite i servizi cloud Azure, e Google e Amazon tramite l'iniziativa "Nimbus", forniscono l'infrastruttura tecnologica di base per l'esercito israeliano.
Questo contrassegna i crimini di guerra del XXI secolo come un partenariato pubblico-privato tra Israele e Stati Uniti. La fame di massa da parte di Israele della popolazione di Gaza è stata confermata dalle Nazioni Unite, da Amnesty International, dalla Croce Rossa, da Save the Children e da molti altri. Il Consiglio norvegese per i rifugiati, insieme a 100 organizzazioni, ha chiesto la fine dell'uso militare degli aiuti alimentari da parte di Israele. Questa è la prima volta che la carestia di massa è stata ufficialmente confermata in Medio Oriente.
La portata della carestia è sconcertante. Israele sta sistematicamente privando di cibo oltre 2 milioni di persone. Oltre mezzo milione di palestinesi affronta una fame catastrofica e almeno 132.000 bambini sotto i cinque anni rischiano di morire per malnutrizione acuta. La portata di questo orrore è ampiamente documentata da Haaretz in un recente articolo intitolato "La fame è ovunque". Chi riesce in qualche modo ad accedere ai siti di distribuzione alimentare viene regolarmente colpito dall'esercito israeliano.
Come ha recentemente spiegato un ex ambasciatore statunitense in Israele, l'intenzione di affamare la popolazione è stata presente fin dall'inizio. Il Ministro del Patrimonio israeliano Amichai Eliyahu ha recentemente dichiarato: "Non c'è nazione che sfami i propri nemici". Il Ministro Bezalel Smotrich ha recentemente affermato: "Chi non evacua, non lasciatelo andare. Niente acqua, niente elettricità; possono morire di fame o arrendersi. Questo è ciò che vogliamo".
Eppure, nonostante queste lampanti dichiarazioni di genocidio, i rappresentanti degli Stati Uniti alle Nazioni Unite negano ripetutamente i fatti e coprono i crimini di guerra di Israele. Solo gli Stati Uniti hanno posto il veto all'ammissione della Palestina alle Nazioni Unite nel 2024. Ora negano i visti ai leader palestinesi per partecipare alle Nazioni Unite a settembre, un'ennesima violazione del diritto internazionale.
Gli Stati Uniti hanno usato il loro potere, e in particolare il loro veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per favorire il genocidio israeliano dei palestinesi e bloccare persino le più elementari risposte umanitarie. Il mondo è sgomento, ma sembra paralizzato di fronte alla macchina omicida israelo-americana. Eppure il mondo può agire, anche di fronte all'intransigenza degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti resteranno nudi e soli nella loro criminale complicità con Israele.
Siamo chiari. La voce schiacciante dell'umanità è dalla parte del popolo palestinese. Lo scorso dicembre, 172 paesi, con oltre il 90% della popolazione mondiale, hanno votato a sostegno del diritto della Palestina all'autodeterminazione. Israele e gli Stati Uniti sono rimasti sostanzialmente isolati nella loro opposizione. Simili schiaccianti maggioranze si sono ripetutamente espresse a favore della Palestina e contro le azioni di Israele.
Il governo criminale di Israele ora conta esclusivamente sul sostegno degli Stati Uniti, ma anche questo potrebbe non durare a lungo. Nonostante l'intransigenza di Trump e i tentativi del governo statunitense di soffocare le voci filo-palestinesi, il 58% degli americani desidera che le Nazioni Unite riconoscano lo Stato di Palestina, rispetto a solo il 33% che non lo desidera. Inoltre, il 60% degli americani si oppone alle azioni di Israele a Gaza.
Ecco alcuni passi concreti che il mondo può intraprendere.
In primo luogo, la Turchia ha intrapreso la strada giusta interrompendo tutti i legami economici, commerciali, marittimi e aerei con Israele. Israele è attualmente uno stato canaglia e la Turchia ha ragione a trattarlo come tale finché non cesserà la carestia di massa provocata da Israele e lo Stato di Palestina non sarà ammesso all'ONU come 194° membro, con i confini del 4 giugno 1967. Altri stati dovrebbero seguire immediatamente l'esempio della Turchia.
In secondo luogo, tutti gli stati membri dell'ONU che non l'hanno ancora fatto dovrebbero riconoscere lo Stato di Palestina. Finora, 147 paesi hanno riconosciuto la Palestina. Decine di altri paesi dovrebbero farlo al Vertice ONU sulla Palestina del 22 settembre, nonostante le forti obiezioni degli Stati Uniti.
In terzo luogo, i paesi arabi firmatari degli Accordi di Abramo, Bahrein, Marocco, Sudan ed Emirati Arabi Uniti, dovrebbero sospendere le loro relazioni diplomatiche con Israele finché non cesserà l'assedio di Gaza e lo Stato di Palestina non sarà ammesso all'ONU.
In quarto luogo, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con un voto dei due terzi dei presenti e votanti, dovrebbe sospendere Israele dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite fino a quando non toglierà il suo assedio omicida a Gaza, sulla base del precedente della sospensione del Sudafrica durante il suo regime di apartheid. Gli Stati Uniti non hanno diritto di veto all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
In quinto luogo, gli Stati membri delle Nazioni Unite dovrebbero interrompere l'esportazione di tutti i servizi tecnologici che supportano la guerra, fino alla fine dell'assedio di Gaza e all'approvazione dell'adesione della Palestina alle Nazioni Unite da parte del Consiglio di Sicurezza. Le aziende di beni di consumo come Amazon e Microsoft che persistono nel sostenere le Forze di Difesa Israeliane nel contesto di un genocidio dovrebbero affrontare l'ira dei consumatori di tutto il mondo.
In sesto luogo, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dovrebbe inviare una Forza di Protezione delle Nazioni Unite a Gaza e in Cisgiordania. In genere, sarebbe il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a istituire una forza di protezione, ma in questo caso gli Stati Uniti bloccherebbero il Consiglio di Sicurezza con il loro veto. C'è un'altra soluzione.
In base al meccanismo "Uniting for Peace", quando il Consiglio di Sicurezza si trova in una situazione di stallo, l'autorità di agire passa all'Assemblea Generale. Dopo una sessione del Consiglio di Sicurezza e il quasi inevitabile veto degli Stati Uniti, la questione verrebbe portata all'attenzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite in una decima sessione speciale di emergenza sul conflitto israelo-palestinese. In tale occasione, l'Assemblea Generale può, a maggioranza di due terzi non soggetta al veto degli Stati Uniti, autorizzare una forza di protezione in risposta a una richiesta urgente dello Stato di Palestina. Esiste un precedente: nel 1956, l'Assemblea Generale autorizzò la Forza di Emergenza delle Nazioni Unite (UNEF) a entrare in Egitto e proteggerlo dall'invasione in corso da parte di Israele, Francia e Regno Unito.
Su invito della Palestina, la forza di protezione entrerebbe a Gaza per garantire aiuti umanitari di emergenza alla popolazione affamata. Se Israele dovesse attaccare la forza di protezione delle Nazioni Unite, questa sarebbe autorizzata a difendere se stessa e gli abitanti di Gaza. Resta da vedere se Israele e gli Stati Uniti oseranno combattere una forza sotto mandato dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a protezione degli abitanti di Gaza affamati.
Israele ha oltrepassato il limite più netto, commettendo i crimini più oscuri: far morire di fame i civili e sparargli mentre si mettevano in fila, emaciati, per procurarsi del cibo. Non c'è più limite da oltrepassare, né tempo da perdere. La famiglia delle nazioni è messa alla prova e chiamata all'azione come non accadeva da decenni.
https://www.other-news.info/how-to-stop-israel-from-starving-gaza/

L'ASSEMBLEA ONU A NUOVA DELHI - PROPOSTA DI RANIERO LA VALLE
Nota di Alfonso Navarra
La questione fondamentale posta nel paradosso gandhiano sull'oppresso che deve legittimare la propria lotta contro l'oppressione è se il fine della giustizia e della libertà possa essere raggiunto solo attraverso mezzi che ne siano degni.
Il pensiero di Gandhi si basava infatti su un principio di coerenza tra mezzi e fini. Per lui, l'uso della violenza o di tattiche che non rispettavano la dignità dell'avversario avrebbe inevitabilmente corrotto il risultato finale. La sua nonviolenza, la satyagraha, non era una scelta passiva, ma una forza morale attiva, destinata a rivelare la verità e la giustizia del proprio fine, smascherando l'immoralità del potere coloniale.
Applicare questo standard alla resistenza palestinese è un ragionamento che non è solo frutto della farina del mio sacco ma che molti analisti condividono. Sostenere che una causa, per quanto giusta, possa perdere la sua forza morale e la sua legittimità internazionale se persegue i suoi obiettivi con metodi considerati terroristici o che infliggono sofferenza ai civili, è un'argomentazione importante. Dal punto di vista di questa linea di pensiero, la "resistenza canaglia" non solo danneggia i propri obiettivi, ma finisce per giustificare, agli occhi di alcuni, le reazioni dell'avversario.
Molti osservatori, infatti, sottolineano che le azioni di Hamas, come il lancio indiscriminato di razzi o l'attacco del 7 ottobre, hanno avuto conseguenze disastrose per la causa palestinese e hanno fornito al governo israeliano la giustificazione per un'operazione militare su vasta scala, che ha causato enormi sofferenze ai civili di Gaza.
Il suggerimento per la resistenza palestinese di diventare "degna dell'indipendenza", implicito anche nella costituzione del Comitato per Barghouti libero, potrebbe significare:
Abbandonare la violenza o almeno le tattiche armate che causano la morte di civili.
Concentrarsi sulla lotta politica e sulla resistenza civile nonviolenta.
Costruire un consenso nazionale e internazionale che metta il popolo palestinese al centro, isolando le frange più estremiste.
In questa prospettiva, la leadership di un movimento di liberazione ha la responsabilità non solo di lottare per l'indipendenza, ma di farlo in un modo che garantisca la creazione di uno Stato giusto e pacifico, pronto a coesistere con i suoi vicini.
_______________________________
l testo dell'appello di Raniero La Valle inizia qui.
Ai 6.534 domiciliati a Gaza. Agli uomini e alle donne di ragione e di cuore. da parte di Raniero La Valle
Cari amici,
i duri fatti della storia ci dicono che ci sono oggi al potere tre uomini che ci trascinano nell'abisso, un americano, un ucraino e un israeliano, e se non fosse per la fede condivisa ancora da miliardi di persone nella salvezza che viene da Dio, sarebbe molto difficile dire se il mondo potrà sopravvivere a tale sciagura.
Il gesto in qualche modo ricapitolativo di tutte e tre le tragedie è stato ora compiuto dall'americano, che ha interdetto alla delegazione palestinese l'accesso in America per partecipare alla prossima sessione dell'Assemblea generale dell'ONU che, nella débacle del Consiglio di Sicurezza, dovrebbe prendere in mano la causa della pace del mondo. L'intento è chiaro: Trump vuole portare a termine il genocidio che sta compiendo in unione con Netanyahu, mettendo intanto il bavaglio al popolo palestinese. Ciò facendo Trump ha demolito il principio stesso di un diritto internazionale e di una regola nel rapporto tra le Nazioni, principio che nessun potere, pur se criminale, aveva osato negare, almeno a partire dalla fine della seconda guerra mondiale.
È chiaro che, perché questo diritto e regole sul piano internazionale sussistano, è indispensabile che tutti i soggetti, a cominciare dai più discussi e sgraditi, possano incontrarsi e abbiano libero accesso a un luogo istituzionalmente deputato dal consenso generale a farlo.
Questo luogo non può che essere sottoposto a una sovranità, perché non esiste nessun luogo del mondo che non sia sotto la sovranità di qualcuno, dunque, è evidente che in questo specialissimo caso tale sovranità deve essere sospesa perché il sistema possa funzionare. Dunque, riguardo a New York come sede dell'ONU Trump non può esercitare la sua sovranità perché non ne dispone. Negare i visti per accedere all'ONU sarebbe come se l'Italia impedisse ai cardinali di raggiungere il Conclave, secondo quanto è esplicitamente previsto dai Trattati Lateranensi: tutto un sistema che salta.
Stando così le cose è necessario che governi e popoli chiedano immediatamente che la prossima sessione dell'Assemblea generale dell'ONU si tenga altrove; ma poiché non si tratta solo di un problema logistico, la scelta più appropriata sarebbe di riunirla a Nuova Delhi, presso la tomba del Mahatma Gandhi.
Nel sito pubblichiamo un testo di Tomaso Montanari su Gaza e l'appello di suor Giovanna da Ma'in, e un articolo di Alejandro Marcó del Pont sulla sconfitta nello Studio Ovale.
Documentazione
Fare le cose tanto per fare o fare le cose che serve fare? Due proposte concrete per "fermare il genocidio" in Palestina
da parte di Alfonso Navarra - coordinatore dei Disarmisti esigenti
Alfonso Navarra alfiononuke@gmail.com - cell. 340/0736871
Puoi aderire online su: https://www.petizioni24.com/barghouti_libero
Per dare sostegno alla causa palestinese per la pace (le crisi che possono unificare la guerra mondiale a pezzetti vanno disinnescate!) - ed in particolare alla popolazione martoriata di Gaza -servirebbero oggi due iniziative concrete (quindi, ci sia concesso, di "nonviolenza poietica")
1- spingere perché l'Assemblea ONU di settembre 2025 faccia di nuovo ricorso al meccanismo "Uniting for peace" decidendo di dar seguito alle cose molto precise già decise con la risoluzione del 18 settembre 2025.
(vedi proposta di lettera sotto riportata. Raniero La Valle ci segnala l'opportunità di chiedere che l'Assemblea non si svolga a New York: "Trump le ha tolto la libertà negando il visto ai palestinesi. Sede alternativa? New Delhi presso la tomba del mahatma Gandhi").
2- preparare una spedizione di diplomazia popolare di base a Tel Aviv e a Ramallah anche in vista della costituzione di una Ambasciata di pace. Il compito urgente sarebbe prendere contatti con l'opposizione, guidata dalle famiglie degli ostaggi, per aiutarla, con le possibilità che abbiamo di movimenti internazionali nonviolenti, nel risultato fare cadere il governo Netanyahu: la proposta di liberare Barghouti, partner di pace come Mandela, potrebbe servire allo scopo.
(Invece, fondamentalmente sulla base del "meglio di niente", le speranze attualmente sono per lo più riposte in una iniziativa di grande mobilitazione navale, massiccia e dispendiosa, che cattura sì l'attenzione mediatica ma che disgraziatamente non ha alcuna possibilità pratica di riuscita. Dobbiamo però essere costruttivi e propositivi nei confronti di attivisti mossi da buone intenzioni. Alla Sudum Flotilla intendiamo segnalare che il corridoio umanitario da essa richiesto potrebbe essere imposto dall'ONU mediante Uniting for peace).
__________________________-
Proposta n. 1
Da parte di Alfonso Navarra – coordinatore dei Disarmisti esigenti (seguirà proposta dell'ambasciata di pace a Tel Aviv/Ramallah e di raccordi con altre iniziative in corso)
Come l'ONU potrebbe agire subito per fermare il massacro dei civili in Palestina: appello delle ONG agli Stati membri.
Con l'avvicinarsi di una scadenza chiave a settembre per l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, un meccanismo poco utilizzato, immune dal veto degli Stati Uniti, potrebbe portare protezione al popolo palestinese (non escludendo la dimensione militare) – se gli Stati lo attivano (lo riattivano!) con il voto. È una nostra precisa richiesta, come ONG interessate alla "pace possibile", per evitare derive che possano unificare la "guerra mondiale a pezzi" (cit. Papa Francesco).
Istituito da una risoluzione dell'era della Guerra Fredda adottata nel 1950 (risoluzione 377 A (V), il meccanismo "Uniting for Peace" autorizza l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) ad agire quando il Consiglio di Sicurezza è bloccato dal veto di uno dei suoi membri permanenti. Nell'ambito di questo meccanismo, l'Assemblea Generale potrebbe incaricare una forza di protezione delle Nazioni Unite, noi suggeriamo in una prima fase formata solo da "caschi bianchi" e "corpi civili di pace", di schierarsi in Palestina per proteggere i civili, assicurare aiuti umanitari, preservare le prove degli eventuali crimini commessi e assistere nella ripresa e nella ricostruzione.
Proprio lo scorso anno, il 18 settembre 2024, l'Assemblea generale dell'ONU ha fatto ricorso a "Uniting for peace" con una risoluzione (A/ES-10/L.31/REV.1. con 124 Stati a favore, 43 astenuti tra i quali l'Italia, solo 14 contro) che ha fissato scadenze critiche: Israele deve ottemperare agli ordini della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) che sta indagando sul possibile "genocidio" commesso a Gaza, prescriventi misure da attuare per prevenirlo, la prima delle quali è porre fine all'occupazione militare della Striscia e dei territori palestinesi.
Se l'azione di alcune parti tecniche
dell'ONU è da encomiare, la parte politica rischia di fallire se gli Stati
membri non dimostrano una responsabile consequenzialità. Il Consiglio di
Sicurezza è reso del tutto inutile sotto i vincoli impostigli dagli Stati Uniti
e dai suoi alleati occidentali. "Uniting for Peace", applicato in
coerenza, offre allora la possibilità di raddrizzare la nave delle Nazioni
Unite evitando che la sua credibilità naufraghi sull'iceberg di un "genocidio"
da scongiurare.Un'azione significativa da parte del Consiglio di Sicurezza è di fatto
impossibile, ma il mondo non deve arrendersi di fronte a quel veto. Una nuova
risoluzione dell'UNGA, adottata in coerenza con la precedente "Uniting for
peace" del settembre 2024, potrebbe:1. Ordinare ad Israele – e ad Hamas – il cessate il fuoco immediato.
2. Invitare tutti gli Stati ad adottare sanzioni globali e un embargo militare
contro il governo israeliano (e contro Hamas).
3. Decidere di respingere le credenziali di Israele.
4. Imporre un meccanismo di responsabilità (come un tribunale penale) per
affrontare i crimini di guerra e il genocidio su cui si sta indagando.
5. Riattivare i meccanismi antiapartheid delle Nazioni Unite.
6. Dare mandato a una forza di protezione multinazionale, suggeriamo non armata
in una prima fase, di schierarsi a Gaza e in Cisgiordania.Tutte queste azioni potrebbero essere adottate dall'Assemblea Generale con una
maggioranza, a portata di mano, perché già raggiunta, di due terzi, aggirando
il veto. E a questo fine potrebbe essere opportuno che l'Assemblea non si
svolga a New York: i visti negati all'ANP dal segretario di Stato USA non sono
accettabili e truccano il tavolo da gioco diplomatico. La stessa UE ha
ufficialmente rilevato che la decisione è contraria alla legge internazionale
(la Convenzione sulla sede delle Nazioni Unite del 1947): la partecipazione della
delegazione palestinese alle discussioni dell'Assemblea generale va garantita
anche per agevolare i riconoscimenti di diversi Stati membri, quelli annunciati
e quelli che potrebbero aggiungersi, allo Stato di Palestina. Una sede
alternativa rispetto a New York potrebbe essere New Delhi che ospita la tomba
del Mahatma Gandhi.
È necessario impiegare bene ogni strumento disponibile, di fronte a orrori storici che pregiudicano la sopravvivenza stessa di un popolo, potrebbero seppellire il nascente progetto globale dei diritti umani, e minacciano la pace mondiale. Il consesso degli Stati non l'ha ancora fatto. L'ONU deve provare a essere coerente con sé stessa, e in fretta. Il massacro di civili innocenti, forse "genocidio" (noi non riteniamo improprio già usare questo termine), su cui la Corte dell'Aja sta indagando, e per il quale ha emesso misure cautelari "per prevenire danni irreparabili", non deve continuare a imperversare a Gaza ed eventualmente diffondersi anche in Cisgiordania. E il 18 settembre segnerà la fine del termine già fissato dall'UNGA. Il momento di agire facendo seguire i fatti alle parole è adesso e vi invitiamo caldamente a farlo.
_________________________-
Proposta n. 2
Da parte di Alfonso Navarra – coordinatore dei Disarmisti esigenti
UNA AMBASCIATA DI PACE IN TERRITORIO PALESTINESE INTEGRATA CON LA CAMPAGNA PER BARGHOUTI LIBERO, PARTNER DI PACE SECONDO IL MODELLO MANDELA
L'idea, da parte nostra di Disarmisti esigenti & partners, di un'ambasciata di pace come strumento di diplomazia dal basso la riteniamo estremamente "poietica", specialmente in un contesto così polarizzato come quello israelo-palestinese. Il modello che pensiamo di proporre, con due uffici, uno a Tel Aviv e uno a Ramallah, coordinati in una unica strategia politica, crediamo sia strategicamente intelligente perché riconosce la necessità di lavorare "all'interno" di ogni società, con le rispettive sensibilità e dinamiche. Il principio strategico, sulla base del valore del rispetto della vita universale, è l'obiettivo di "trasformare i gruppi umani nemici in gruppi umani amici".
Un ponte tra le due parti
La nostra proposta parte dalla premessa di una diplomazia popolare di base, che lavora in parallelo e, a volte, in anticipo rispetto a quella ufficiale. L'obiettivo non è sostituire i governi o le istituzioni, e neanche le forze di movimento locali, ma creare un terreno fertile per la pace dal basso.
• L'approccio "equivicino": Questo metodo, basato sulle teorie di Galtung, ed ovviamente sulla nostra esperienza, è cruciale. Non si tratta di essere equidistanti, ma di essere "equivicini," cioè, vicini a entrambe le parti, comprendendo le loro ragioni, sofferenze e prospettive, senza giudizio. L'ambasciata di pace, con i suoi due uffici, può diventare un luogo aperto e dialogico, dove si coltivano le relazioni, si costruisce la fiducia e si esplorano le vie di compromesso.
• Rafforzare le voci non "radicalizzate" ma "equilibrate": entrare in contatto e sostenere coloro che sono disponibili al dialogo è un'azione fondamentale. In un conflitto dove le narrazioni estreme tendono a dominare, dare visibilità e forza a chi cerca soluzioni nonviolente può fare una differenza enorme. L'ambasciata può agire come una cassa di risonanza per queste voci, facilitando la collaborazione tra le due comunità. E qui si innesta anche la proposta del Comitato per Barghouti libero, partner di pace sul modello di Mandela, progetto più specifico e urgente della Ambasciata.
• Preparare il terreno per la cooperazione: l'ambasciata non si limiterebbe a un semplice dialogo. L'obiettivo finale sarebbe preparare una cooperazione comune. Questo potrebbe tradursi, nel medio periodo, anche in "progetti costruttivi" su temi come la gestione delle risorse idriche, l'agricoltura sostenibile, la salute o l'educazione. Tali progetti, ideati e poi gestiti congiuntamente, possono servire da modello per una futura convivenza e costruire una rete di interdipendenza positiva.
L'integrazione con la proposta sul Comitato per Barghouti libero
Ecco ora un primo approfondimento sull'importanza di integrare la campagna per la liberazione di Marwan Barghouti con l'idea di un'ambasciata di pace insediata ad hoc. L'accostamento con la figura di Nelson Mandela è un punto di forza fondamentale, in quanto fornisce una narrazione di grande impatto e universalmente riconoscibile.
Ecco come, secondo noi, le due proposte possono integrarsi per creare una strategia unificata e coerente.
1. Barghouti come simbolo e partner di pace
La campagna per la liberazione di Marwan Barghouti non è solo un atto di giustizia, ma una mossa strategica per la pace.
• Un leader per il compromesso: Barghouti è una figura rispettata sia tra i palestinesi che, in parte, anche tra gli israeliani più moderati, a differenza di altri leader più radicali. La sua storia di attivismo, il suo ruolo nella Seconda Intifada e il suo appello per una soluzione a due Stati dalla prigione lo rendono un candidato credibile per un dialogo futuro.
• Mandela palestinese: L'analogia con Mandela è fondamentale. Mandela è diventato il simbolo della riconciliazione e della fine dell'apartheid non solo per i sudafricani neri, ma anche per molti bianchi, che lo hanno visto come l'unica via per un futuro senza violenza. Allo stesso modo, Barghouti potrebbe diventare la figura catalizzatrice per un'analoga riconciliazione in Palestina e Israele.
2. L'ambasciata di pace come strumento di pressione e dialogo
L'ambasciata di pace può diventare un braccio operativo decisivo della campagna per la liberazione di Barghouti, partner di pace sul modello Mandela.
• Uffici come centri nevralgici: L'ufficio di Tel Aviv può concentrarsi sul dialogo con i gruppi israeliani che credono nella pace, spiegando come la liberazione di Barghouti non sia una concessione, ma un passo strategico per dare una chance alla moderazione palestinese. In parallelo, l'ufficio di Ramallah può lavorare con i palestinesi per preparare un clima politico che accolga Barghouti come un leader che ha la forza e la visione per guidare un dialogo pacifico.
• Diplomazia dal basso e pressione politica: L'ambasciata di pace, come non ci stancheremo di sottolineare, lavora dal basso. Può organizzare incontri, dibattiti e workshop per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza della figura di Barghouti. Questo crea una pressione civile che può spingere i governi a considerare seriamente la sua liberazione come un punto di svolta.
3. La sinergia tra campagna per Barghouti libero e Ambasciata di pace
La forza della nostra proposta potrebbe stare nel modo in cui le due iniziative si alimentano a vicenda.
• Rafforzare le voci "equilibrate": La campagna per Barghouti rafforza l'idea che esistono leader palestinesi disposti a lavorare per un compromesso. Questo dà credibilità all'ambasciata di pace e al suo obiettivo di rafforzare le voci non radicalizzate, dimostrando che c'è un interlocutore credibile.
• Preparare il terreno per il futuro: Se la campagna avrà successo, l'ambasciata di pace avrà già costruito le basi per il dialogo e la cooperazione tra le due parti. L'ambasciata può diventare il luogo dove i progetti di coesistenza e cooperazione, che si sono menzionati (gestione delle risorse idriche, agricoltura, salute), possono essere lanciati e gestiti sotto la guida di un leader riconosciuto.
L'integrazione di queste due proposte è – come si è accennato - estremamente "poietica", nel senso che genera un nuovo percorso per la pace, che non si limita a sperare in un cessate il fuoco, ma crea le condizioni politiche e sociali per una convivenza duratura. La figura di Barghouti diventa il ponte tra la speranza e la realtà, e l'ambasciata di pace il cantiere dove questo ponte viene costruito.
Individuare un partner di pace di pace non significa entrare nel merito del processo
E' cruciale sottolineare questo principio: essere un partner di pace non significa entrare nel merito dell'innocenza o della colpevolezza nel contesto di una condanna. Questo approccio sposta la discussione da un piano strettamente legale a uno politico e strategico, focalizzandosi sul potenziale di una persona nel facilitare la pace e la riconciliazione.
Il "modello Mandela": una scelta pragmatica per la pace
Il "modello Mandela" non riguarda l'approvazione delle azioni passate di una figura, né la validazione di un processo legale. Al contrario, si basa sul riconoscimento che una figura con una forte influenza politica, anche se incarcerata, può essere un attore indispensabile nel raggiungimento della pace. Nelson Mandela fu condannato e incarcerato, ma la sua leadership e la sua capacità di rappresentare un intero movimento lo resero un interlocutore inevitabile per porre fine all'apartheid in Sudafrica. Le potenze internazionali e i leader sudafricani che dialogarono con lui non lo facevano perché credevano che la sua condanna fosse ingiusta, ma perché capirono che senza di lui non ci sarebbe stata una transizione pacifica.
Applicazione al Comitato Barghouti libero
Per il "Comitato Barghouti libero", l'adozione di questo modello rappresenta una strategia di grande impatto. Invece di concentrare gli sforzi sulla legalità del processo di Marwan Barghouti, il Comitato può argomentare che la sua liberazione e il suo coinvolgimento sono una precondizione necessaria per il dialogo e la stabilità futura. Questo approccio ha diversi vantaggi:
- Supera la polarizzazione: Non obbliga le parti avverse a riconoscere l'innocenza di Barghouti, che potrebbe essere un punto di scontro insormontabile. La richiesta non è di annullare la condanna, ma di riconoscere il suo ruolo politico.
- Focalizza sulla soluzione: L'attenzione si sposta dal passato al futuro. La domanda non è "Cosa è successo?" ma "Come possiamo costruire la pace?". La sua figura, in quanto leader riconosciuto da ampie fasce della popolazione palestinese, è vista come un elemento essenziale per unificare il fronte palestinese e legittimare un futuro accordo di pace.
- Amplia la base di supporto: Questo ragionamento permette di coinvolgere attori internazionali, come l'Unione Europea, che potrebbero essere riluttanti a prendere posizione su una questione legale interna a Israele, ma che sono fortemente interessati a una soluzione pacifica del conflitto. L'argomentazione è basata sul principio universale che la pace richiede il dialogo con i leader più rappresentativi.
Riepilogando, l'essenza del "modello Mandela" per il Comitato è un'azione pragmatica e lungimirante. Si tratta di riconoscere che in certi contesti politici, la necessità di pace e stabilità prevale sulle controversie legali passate. La liberazione di Barghouti non sarebbe una questione di giustizia per la sua condanna, ma un passo strategico indispensabile per costruire un futuro di pace.
L'urgenza della integrazione Campagna pro-Barghouti con gli uffici di pace in Palestina per un futuro di pace da preparare
La situazione attuale, con la forte pressione esercitata sul governo Netanyahu da parte delle famiglie degli ostaggi e di un vasto movimento d'opposizione, rappresenta un momento cruciale. In questo contesto di crisi e profonda incertezza, l'idea di istituire uffici di pace in Palestina non è un'utopia, ma una necessità immediata per aprire una via d'uscita al conflitto.
Ecco i motivi principali che rendono l'apertura di questi uffici non solo auspicabile, ma urgente:
1. Sfruttare la mobilitazione di protesta
Il movimento di protesta in Israele, guidato dalle famiglie degli ostaggi, ha già dimostrato una forza e un'influenza senza precedenti, scuotendo le fondamenta del potere di Netanyahu. L'apertura di uffici di pace, in questo momento, può sfruttare questa ondata di dissenso per contribuire ad incanalare l'energia della protesta verso una soluzione politica.
• Punto di incontro per la pace: Un ufficio a Tel Aviv diventerebbe un hub per i gruppi di israeliani che non credono più nella soluzione militare. Offrirebbe un'alternativa concreta e un luogo fisico dove lavorare per una riconciliazione.
• Creazione di un interlocutore credibile: In un momento di grande sfiducia verso la classe politica, l'ufficio di pace, con la sua proposta di liberare Marwan Barghouti come leader per la pace, offre un interlocutore credibile sia per il movimento di protesta che per la comunità internazionale.
2. Azione dal basso e diplomazia civile
A differenza della diplomazia tradizionale, spesso lenta e inefficace, l'idea di un'ambasciata di pace che lavora dal basso si adatta perfettamente all'urgenza della situazione attuale.
• Pressione politica dal basso: L'ufficio non si limiterebbe a colloqui ufficiali, ma agirebbe direttamente sulla società civile, organizzando eventi e sensibilizzando l'opinione pubblica sull'importanza della liberazione di Barghouti e sulla necessità di una pace duratura.
• Ponte tra le società civili: In un momento in cui i contatti tra israeliani e palestinesi sono quasi inesistenti, gli uffici di pace fungerebbero da ponti, facilitando incontri e progetti di cooperazione su questioni vitali come l'acqua e la salute, gettando le basi per una convivenza futura.
In sintesi, l'apertura degli uffici di pace non è un gesto simbolico, ma una mossa strategica che intercetta la crisi politica in corso in Israele per proporre un'alternativa concreta. Collegare questa iniziativa alla figura di Barghouti significa dare un volto e un obiettivo a un percorso di pace che, fino ad ora, sembrava irraggiungibile.
Messa in pratica della proposta complessiva (Ambasciata più Comitato per Barghouti libero, Ambasciata per il Comitato per Barghouti libero)
Una possibile attuazione del nostro progetto potrebbe prevedere la creazione di un'organizzazione snella e flessibile che, attraverso i due uffici, si occupi di:
1. Mappatura e networking: Identificare e connettere individui, gruppi e organizzazioni che già lavorano per la pace "disarmata e disarmante" in Israele e Palestina.
2. Formazione e workshop: Organizzare incontri, workshop e sessioni di formazione sul metodo TRASCEND e sulla risoluzione non violenta dei conflitti.
3. Progetti congiunti: Promuovere e facilitare progetti di cooperazione che coinvolgano sia israeliani che palestinesi.
4. Sensibilizzazione: Utilizzare l'ambasciata come piattaforma per diffondere storie di pace, successi nella cooperazione e narrazioni alternative a quelle dominanti.
La nostra proposta potrebbe costituire – si spera – un esempio di come la pace possa essere costruita mattone dopo mattone, partendo dal dialogo e dalla fiducia reciproca.