Due Stati: uno degli arabi palestinesi e uno degli ebrei israeliani contro l'"umanicidio"

24.09.2025

https://zibaldoneecopacifista.webnode.it/l/duestatipalestinaisraele/


26 settembre 2025: Petrov Day. Incontro online per focalizzare la resistenza alla tendenza globale alla guerra, priorità delle priorità.Per sottrarsi al baratro dell"'umanicidio" (il "genocidio programmato" dalla deterrenza nucleare) e per costruire, nella riconciliazione comune con la Natura, l'equilibrio vitale della "pace positiva". 

Link per partecipare (dalle ore 18:00 alle ore 20:00 di venerdi 26 settembre): https://us06web.zoom.us/j/81878655259?pwd=2XButLdb7NcHXom1ibHnuAOD0bFSoD.1

PETROV DAY 2025: occhio all'"umanicidio" incombente e occhio alle micce che possono innescarlo

Consideriamo del tutto pertinente l'approccio che connette la celebrazione del "Petrov Day" (26 settembre, Giornata internazionale per l'eliminazione totale delle armi nucleari) alla situazione in Medio Oriente, tema centrale dell'Assemblea ONU (80esimo dalla fondazione) in corso di svolgimento a New York.

Esiste un legame tra il conflitto israelo-palestinese e il rischio nucleare e di guerra mondiale, per le sue potenzialità di escalation regionale e globale, per il retrostante coinvolgimento delle grandi potenze, e per la proliferazione nucleare che si sta attivando.

Rischio di escalation regionale: le tensioni tra Israele e Hamas non sono un conflitto isolato. La situazione in Medio Oriente è un intreccio complesso di alleanze, interessi economici e rivalità storiche che legano tra loro diverse fazioni e nazioni. Un'escalation, come il possibile coinvolgimento di Hezbollah in Libano o dell'Iran, potrebbe innescare una guerra regionale di vaste proporzioni.

Coinvolgimento delle potenze: questo è uno scenario in cui si potrebbe facilmente finire col coinvolgere le grandi potenze, quegli Stati Uniti, quella Russia e quella Cina che hanno tutti i loro interessi e le loro alleanze in Medio Oriente. Gli americani, si sa, sono da sempre alleati di Israele, mentre russi e cinesi hanno i loro agganci con altri Paesi e con gruppi non statali. E un loro scontro, anche solo indiretto, potrebbe scatenare un conflitto che non rimarrebbe certo confinato lì, ma si allargherebbe al mondo intero.

Questione nucleare: esiste la preoccupazione che in un'escalation incontrollata, la deterrenza nucleare possa venire meno. Israele è ampiamente ritenuto in possesso di armi nucleari (sebbene non lo confermi ufficialmente), mentre l'Iran è al centro di sospetti sul suo programma nucleare. La possibilità che un conflitto regionale si trasformi in un confronto che coinvolga potenze nucleari è uno degli scenari più allarmanti.

In questo contesto, la giornata del 26 settembre, istituita dall'ONU*, diventa un'occasione importante per riflettere sul fatto che la stabilità globale è resa precaria dalla falsa sicurezza della "deterrenza" e che conflitti locali, se non gestiti con diplomazia e saggezza, possono avere conseguenze catastrofiche su scala mondiale. L'esempio del Medio Oriente, con la sua rete intricata di alleanze e il potenziale nucleare, sottolinea l'urgenza di un disarmo globale e della risoluzione pacifica delle controversie.

(* la data è un promemoria del cosiddetto "incidente di Stanislav Petrov" del 26 settembre 1983, quando un ufficiale sovietico, Stanislav Petrov, ignorò un'allerta del sistema missilistico sovietico che segnalava un attacco nucleare statunitense, salvando di fatto il mondo da una possibile rappresaglia nucleare)

Per seguire l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) in diretta streaming e trovare le informazioni più aggiornate sui loro canali ufficiali:

  1. UN Web TV: Questo è il canale ufficiale delle Nazioni Unite per lo streaming. Puoi guardare tutte le sessioni in diretta, così come accedere a un archivio di video on-demand. Link: https://webtv.un.org/
  2. Canali YouTube delle Nazioni Unite: Anche il canale YouTube ufficiale delle Nazioni Unite trasmette spesso in diretta gli eventi principali dell'Assemblea Generale.
  • Link: Cerca "United Nations" o "UN News" su YouTube

3. Sito ufficiale dell'Assemblea Generale: Per il programma dettagliato, i documenti, i comunicati stampa e le informazioni generali sulle sessioni attuali e passate, consulta il sito dedicato all'Assemblea Generale. Link: https://www.un.org/pga/78/ (Questo link è per la 78ª sessione, ma verrà aggiornato per le sessioni future).

Consigli utili:

  • Controllare il fuso orario: Le sessioni si svolgono a New York (Eastern Time - ET), quindi ricorda di convertire gli orari nel tuo fuso orario locale.
  • Programma giornaliero: Sui siti indicati, specialmente su UN Web TV e sul sito dell'Assemblea Generale, si trova un programma giornaliero o settimanale con gli orari e gli oratori previsti.

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Al Palazzo di Vetro, il conflitto in Medio Oriente sarà tema centrale dell'Assemblea generale che coincide con l'80° anniversario Onu. Per la premier Meloni sarà l'occasione per ribadire la linea del governo sui dossier più complessi di politica estera.

Il conflitto in Medio Oriente sarà il tema centrale di un'assise che coincide con l'80° anniversario delle Nazioni Unite, fondate a San Francisco il 26 giugno 1945. Ma nel dibattito generale - quest'anno intitolato "Meglio insieme: 80 anni e oltre per la pace, lo sviluppo e i diritti umani" - i riflettori sono stati puntati anche sulla guerra in Ucraina.

Tra i temi all'ordine del giorno anche la riforma delle Nazioni Unite. L'Italia sostiene il gruppo "Uniting for Consensus", che chiede un Consiglio di Sicurezza "più democratico, trasparente, inclusivo e rappresentativo", soprattutto per Africa e Sud globale, e si oppone all'introduzione di nuovi seggi permanenti. Per Roma - che quest'anno celebra i 70 anni di adesione all'Onu ed è il settimo contributore al bilancio ordinario e alle missioni di pace - l'Assemblea rappresenta un momento per riaffermare fedeltà ai principi della Carta e spingere sulla riforma. "Un percorso essenziale per rendere le istituzioni dell'Onu meno burocratiche, più snelle e orientate alla concreta gestione delle sfide comuni", sottolineano fonti diplomatiche.

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Cresce il numero di Paesi che riconoscono lo Stato palestinese. Un gruppo di cui Roma non farà parte, anche se non è contraria in via di principio.

I Paesi che riconoscono formalmente lo Stato di Palestina sono arrivati a oltre 140 nazioni su circa 193 Stati membri dell'ONU. Questo trend riflette un crescente consenso diplomatico, specialmente nel "Global South" (Sud Globale), a favore di una soluzione a due Stati con il riconoscimento reciproco di Israele e Palestina.

La spinta verso il riconoscimento da parte di nuovi Paesi ha acquisito ulteriore slancio a seguito di recenti eventi geopolitici e dei continui sforzi diplomatici della leadership palestinese. L'UNGA, in particolare, è diventata una piattaforma cruciale per queste dichiarazioni e per il rafforzamento della posizione palestinese sulla scena mondiale.

In questo contesto, la posizione dell'Italia si distingue per la sua cautela. Sebbene l'Italia non abbia ancora formalmente riconosciuto lo Stato di Palestina, la sua politica non è contraria in via di principio a tale eventualità. Il governo italiano ha storicamente sostenuto una soluzione a due Stati, che preveda l'esistenza di uno Stato palestinese sovrano e vitale al fianco di uno Stato di Israele sicuro. La posizione di Roma è che il riconoscimento dovrebbe avvenire nel quadro di un accordo di pace complessivo e negoziato, piuttosto che come atto unilaterale. Questa prudenza diplomatica mira a non compromettere il ruolo dell'Italia come potenziale mediatore nel processo di pace mediorientale e a mantenere un equilibrio nelle relazioni con Israele e con l'Autorità Palestinese.

L'approccio italiano si allinea a quello di diversi altri Stati europei che, pur sostenendo la causa palestinese, preferiscono un riconoscimento che sia il culmine di un processo diplomatico piuttosto che un suo inizio.

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La mozione della maggioranza per il riconoscimento della Palestina

Dopo lo sciopero generale per Gaza del 22 settembre, indetto dai sindacati di base – e crediamo in seguito anche al successo inaspettato della mobilitazione - la premier Giorgia Meloni ha annunciato che la maggioranza di destra presenterà una mozione parlamentare per il riconoscimento dello stato della Palestina. La mozione, annunciata prima dell'intervento, previsto per questa notte del 25 settembre (alle ore 2:00 di notte), all'Assemblea Generale dell'ONU a New York, ha sorpreso le opposizioni. Meloni ha precisato che il riconoscimento è subordinato a due condizioni: il rilascio degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas e l'esclusione di Hamas da qualsiasi dinamica di governo della Palestina. Queste condizioni spostano l'attenzione su Hamas, permettendo a Meloni di mantenere una posizione di cautela allineata a Germania e Stati Uniti. La mozione è anche una mossa tattica per mettere pressione sulle opposizioni e chiedere una presa di posizione contro Hamas.

LA SOLUZIONE DEI DUE STATI CONTINUA AD ESSERE VALIDA: NOI DISARMISTI ESIGENTI CI TENIAMO A RIBADIRLO

Questo va riaffermato dentro il movimento che si autoproclama PRO PAL (ma forse preferirebbe chiamarsi PRO GAZA).

Questo movimento sembra, in alcune frange, tendere a disconoscere l'esistenza stessa della "entità sionista" in ciò finendo con il convergere con le posizioni di Hamas, un gruppo terroristico che con la liberazione nazionale della Palestina ha poco a che vedere.

L'affermazione che "da un punto di vista storico men che mai esiste né è mai esistito un Israele" è senza fondamento e siamo sicuri che questo nostro giudizio è basato su una argomentazione inoppugnabile.

Il 29 novembre 1947, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 181, che proponeva la spartizione della Palestina mandataria in due Stati indipendenti: uno arabo e uno ebraico, con Gerusalemme sotto un regime internazionale speciale. Questo piano non ha creato formalmente lo Stato di Israele, ma ha fornito una legittimità internazionale al principio della sua creazione. La Risoluzione ha avuto un ruolo fondamentale nel riconoscimento della necessità di uno stato ebraico e arabo nella regione, ma non ha valore vincolante.

Lo Stato di Israele è stato proclamato il 14 maggio 1948, basandosi sul diritto all'autodeterminazione dei popoli e sul riconoscimento della Risoluzione 181. Subito dopo la sua proclamazione, Israele fu riconosciuto da numerosi Paesi, inclusi gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, e divenne un membro a pieno titolo delle Nazioni Unite nel 1949. Questo riconoscimento internazionale è il fondamento della sua esistenza come entità sovrana, non solo la Risoluzione 181.

L'affermazione secondo cui l'espansione del 1967 non ha alcuna giustificazione legale è largamente supportata dal diritto internazionale.

Durante la Guerra dei sei giorni del 1967, Israele ha occupato la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, la penisola del Sinai (poi restituita all'Egitto) e le alture del Golan. Le Nazioni Unite e la maggior parte della comunità internazionale non riconoscono l'annessione o l'occupazione di questi territori.

La Quarta Convenzione di Ginevra e diverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, come la Risoluzione 242, stabiliscono che l'acquisizione di territori attraverso la guerra è illegittima. Israele considera questi territori "controversi" o "disputati", ma l'interpretazione prevalente a livello internazionale li definisce territori occupati.

È corretto rilevare che gli Accordi di Oslo (1993) non facciano riferimento a uno "stato sionista". Tuttavia, non lo negano neanche.

Gli Accordi di Oslo sono stati una serie di accordi tra Israele e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Il loro scopo era stabilire un quadro per la creazione di un'autonomia palestinese e la negoziazione di uno stato palestinese in futuro. Hanno segnato il riconoscimento reciproco tra Israele e l'OLP, ma non hanno affrontato la questione della legittimità dello stato israeliano, che era già un dato di fatto.

La storia del popolo ebraico nella Terra d'Israele è documentata in testi archeologici, storici e religiosi. Esistevano regni ebraici nell'antichità, come il Regno di Giuda e il Regno d'Israele.

Nonostante la diaspora e la successiva dominazione romana, bizantina e ottomana, la presenza ebraica nella regione, molto diradata, è vero, non si è però mai interrotta nel corso dei millenni. La lingua ebraica e le tradizioni religiose e culturali sono state preservate e hanno mantenuto un legame con la terra. La nascita del movimento sionista nel XIX secolo fu anche conseguenza di questa lunga storia e del desiderio di un ritorno del popolo ebraico nella sua terra ancestrale.

Riepilogando, mentre la presa di posizione sulla illegalità dell'occupazione del 1967 è legittima e supportata dal diritto internazionale, le affermazioni sulla mancanza di fondamento legale e storico per l'esistenza stessa dello Stato di Israele non corrispondono ai fatti storici.

La Storia comunque non è un giudice imparziale per stabilire la giustezza o meno dell'esistenza di un qualsiasi Stato e dei suoi confini. Ecco perché i confini, dal punto di vista della "ragion di Terra", non vanno assolutizzati nel senso che non bisogna considerarli "sacri" anche a prezzo di vite umane da sacrificare per la loro intangibilità (causa indiscutibile per portare avanti delle guerre e rifiutare compromessi pacifici). La centralità di un popolo non sta nella difesa degli spazi fisici ma nella capacità di mantenere relazioni improntate ai diritti praticabili e alla giustizia effettiva.

La storia è spesso scritta dai vincitori, ed è un susseguirsi di conquiste, alleanze e cambiamenti di potere. Assolutizzare le rivendicazioni storiche può portare a conflitti interminabili, perché ogni gruppo può attingere a un periodo diverso del passato per giustificare le proprie pretese su un determinato territorio.

Il concetto di "ragion di Terra", cui stiamo lavorando, suggerisce che la validità di uno Stato non dipende solo da diritti storici, ma dalla sua capacità di esistere e prosperare in un dato contesto geografico, ambientale e sociale. I confini, in questa ottica, sono strumenti pragmatici per la gestione di popolazioni e risorse, non entità sacre.

L'idea che i confini non debbano essere considerati "sacri" a costo di vite umane è un principio centrale del diritto internazionale umanitario e di molte filosofie pacifiste, che noi con tutta evidenza prendiamo a riferimento. La sovranità territoriale è un principio cardine, ma non va assolutizzato: la sua difesa non dovrebbe mai sovrastare il valore della vita umana.

Sebbene il principio di integrità territoriale sia fondamentale per la stabilità globale (per esempio, è vietato invadere e annettere il territorio di un altro Stato), la sua applicazione dovrebbe bilanciare la sicurezza e il benessere delle popolazioni.

Un approccio pragmatico, "poietico", basato su compromessi e accordi realistici ed equi, alla fin della fiera, è preferibile a un'intransigenza che porta alla guerra. Esempi storici, ma anche casi recenti sotto i nostri occhi, dimostrano che il rifiuto di negoziare sui confini causa spesso conflitti devastanti.

Gli sperimentatori di verità nonviolenta converranno facilmente sul concetto che la centralità di un popolo risiede nei diritti praticabili e nella giustizia effettiva, piuttosto che nella difesa degli spazi fisici: è un concetto potente e moderno, che sposta il focus dal "territorio fisico" alla "gente in relazione".

Invece di una sovranità legata al suolo, si parla di una sovranità del popolo, che si manifesta attraverso la capacità di garantire diritti e giustizia ai propri cittadini. Questo include diritti politici, civili, sociali ed economici.

Questo punto di vista è in linea con il concetto di sicurezza umana, che si concentra sulla protezione degli individui dalle minacce, piuttosto che sulla sola sicurezza dello Stato. In questa prospettiva, la pace e la stabilità non derivano da confini rigidi, ma dalla creazione di società giuste, inclusive e integrate armonicamente nell'ambiente naturale.

Dobbiamo preferire approcci che offrano una visione realista e umanistica della politica internazionale, relativizzanti il valore dei confini e delle rivendicazioni storiche a favore del benessere e della sicurezza delle persone. È un approccio che invita alla riflessione, specialmente in contesti di conflitto dove la retorica nazionalista e le rivendicazioni territoriali storiche sono spesso utilizzate per giustificare la violenza.

Lo Stato di Israele è ormai una realtà storica e politicamente ha sicuramente effetti nefasti trattarlo come una entità abusiva cui negare il diritto di esistenza. Lo stesso atteggiamento va assunto con lo Stato di Palestina, che diventa incontestabile nella sua liceità, al di là di ogni dubbio sulla sua fondatezza e consistenza storica, nella misura in cui un popolo è deciso e unito nel rivendicarlo e questa rivendicazione è riconosciuta dalla maggioranza degli Stati ONU.

Anche per quanto riguarda la Palestina, il ragionamento da fare è che la legittimità di uno Stato non si basa solo su antiche rivendicazioni storiche, ma anche e soprattutto sulla volontà di un popolo, con il pieno diritto di avere la sua propria narrazione, di autodeterminarsi e sul riconoscimento della comunità internazionale.

Nel 2012, l'Assemblea Generale dell'ONU ha approvato la Risoluzione 67/19, che ha conferito alla Palestina lo status di "Stato osservatore non-membro". Questo è un passo cruciale che, sebbene non garantisca la piena adesione, riconosce la sua statualità e il diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione.

La Palestina è riconosciuta come Stato da oltre 140 Paesi. Questo ampio riconoscimento la rende una figura incontestabile sulla scena mondiale, rendendo il dibattito sulla sua fondatezza storica meno rilevante di fronte alla realtà politica attuale. La decisione di molti Paesi di riconoscere la Palestina indica che la comunità internazionale considera la sua esistenza non solo un'esigenza politica, ma anche un passo necessario verso la pace.

La coesistenza di questi due popoli, quello ebreo e quello arabo palestinese, ognuno con le proprie legittime aspirazioni territoriali, è la chiave per la pace. Accettare la realtà storica e politica di entrambi gli Stati, Israele e Palestina, è il punto di partenza per avviare negoziati basati sulla giustizia e sul rispetto reciproco. Il rifiuto di accettare uno dei due, a prescindere dalle rivendicazioni storiche, porta solo a un circolo vizioso di violenza. Il percorso verso una soluzione a due Stati passa necessariamente attraverso il riconoscimento reciproco e il dialogo, basato sulla realtà presente piuttosto che sulle dispute passate. Ecco perché è importante contribuire perché si affermino, dai due versanti del conflitto, leadership riconosciute dai rispettivi popoli ma anche che riconoscano la necessità dell'esistenza dell'altro. È il senso del nostro lavoro su "Barghouti libero" e per integrare nell'opposizione al governo Netanyahu, da fare cadere, anche la forza degli obiettori e dei pacifisti israeliani, con i quali dobbiamo tentare agganci mediante una "Ambasciata di pace".

Il Comitato per Barghouti libero fa riferimento a Marwan Barghouti, una figura di spicco nel movimento Fatah, che è stato in prigione in Israele dal 2002. La liberazione del "Mandela palestinese" è vista come un passo potenziale verso il rafforzamento di una leadership palestinese unita e riconosciuta. E dialogante.

L'iniziativa dell'ambasciata di pace con uffici a Tel Aviv e Ramallah, connettendosi con gli obiettori e i pacifisti israeliani, per la caduta del governo Netanyahu, rafforza l'obiettivo di creare un fronte comune con coloro che sono a favore della pace e del dialogo.

Il messaggio principale è che una soluzione duratura deve basarsi sulla realtà attuale e sul riconoscimento reciproco, piuttosto che sulle dispute storiche. La strategia proposta include il sostegno a leadership legittime e la creazione di alleanze tra i movimenti pacifisti di entrambe le parti.

(Per aderire online alla proposta del Comitato per liberare Marwan Barghouti: https://www.petizioni24.com/barghouti_libero )

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