Aiutiamo i Momen a liberarsi dal regime di Hamas. I palestinesi e gli israeliani, per fare la pace, hanno bisogno di leader rappresentativi, umani, dialoganti.

Considerazioni sull'azione nonviolenta oggi necessaria in Palestina (www.disarmistiesigenti.org). Supporto all'iniziativa per costruire una "Ambasciata di pace" in Palestina con due uffici: uno a Tel Aviv e uno a Ramallah (si vada su: https://www.petizioni24.com/barghouti_libero )
Ieri, 20 ottobre, il quotidiano La Repubblica, con l'inviato Fabio Tonacci, ha intervistato Muqbel Barghouti, il fratello di Marwan: sì, il personaggio iconico che è soprannominato il Mandela Palestinese.
Muqbel, lancia l'allarme: "Mio fratello Marwan rischia di essere ucciso in carcere.
Questi alcuni passi dell'intervista di Tonacci a Mukbel Barghouti:
(Si vada su:
L'intervista, nel testo completo, è anche riportata in fondo).
Se (suo fratello - ndr) uscisse dal (carcere-ndr), vincerebbe le elezioni presidenziali?
«Le vince anche se rimane in prigione, i sondaggi gli danno un consenso del 60-70 per cento».
Perché è così amato?
«Arriva da una famiglia umile, mio padre faceva il muratore. Ed è rimasto un uomo umile, generoso. E un leader nato».
(...)
Lo scorso agosto è stato diffuso il video del ministro Ben-Gvir andato in carcere a dirgli che i palestinesi non avrebbero mai vinto.
«L'incontro è durato 12 minuti ma hanno pubblicato solo 30 secondi. Ho provato rabbia. Se c'è uno che dovrebbe stare in carcere è proprio Ben-Gvir».
Si aspettava di vedere suo fratello fisicamente così provato?
«Gli effetti di due anni di isolamento. Ma non si illudano, Marwan non si spezza».
Eravate convinti che sarebbe uscito nello scambio con gli ultimi ostaggi vivi rapiti da Hamas?
«Stavolta la famiglia ci credeva davvero. Ma la destra estrema che governa Israele non vuole la pace, quindi non vuole Marwan in libertà. È spaventata dai simboli, e mio fratello è soprannominato il Mandela palestinese, faccia lei...».
Come è nato questo soprannome?
«Perché Marwan era uno suo fan, conosceva tutto della vita di Mandela. E perché come lui, è un uomo che lotta per la pace».
Quale pace?
«Quella che porterà la soluzione dei due stati e due popoli».
Bisogna focalizzare i seguenti punti da parte di un movimento che, non "equipaggio di terra" di qualsiasi flottilla improvvissata, abbia solidità di visione ed un retroterra culturale ed esperenziale per una Campagna che voglia essere efficace. La liberazione di Barghouti non va portata avanti con lo spirito della sola denuncia della "entità sionista" (sic!) ma deve diventare tema serio della campagna elettorale proprio in Israele: si tratta di rafforzare l'obiettivo, da parte della opposizione progressista in quel Paese, che esiste e va tenuta in conto, di mandare a casa Netanyahu e il suo governo parafascista. L'idea è che per lavorare a una pace possibile nel conflitto israelo-palestinese dalle due parti bisogna che si affermino leadership rappresentative e dialoganti, che reciprocamente si riconoscono il diritto ad esistere, stante il loro spessore umano, politico e valoriale. Da questo punto di vista è da sottolineare che, nella intervista a Repubblica, il fratello Muqbel ricordi che Marwan è per la formula due popoli due stati. Non si lavora, infatti, per la pace solo picchiando sulle malefatte di una parte, volendone di fatto la sua cancellazione; ma tenendo presente che i mediatori, anche e soprattutto le forze politiche pacifiste di base, "cittadine del mondo", devono impegnarsi a trasformare I gruppi umani nemici in gruppi umani amici, individuando un percorso che, per prima cosa, crei condizioni di coesistenza pacifica.
Dal versante israeliano, è probabilmente decisivo sostenere uno schieramento progressista che mandi a casa il governo Netanyahu, con la sua maggioranza, alle elezioni previste entro l'ottobre 2026.
Il governo di Benjamin Netanyahu, sostenuto da una coalizione di destra e partiti religiosi nazionalisti, è associato a una visione che ostacola attivamente la pace basata sulla formula "due popoli, due Stati", promossa anche da figure palestinesi come, appunto, Marwan Barghouti.
Di seguito proponiamo argomenti e dati di fatto per suffragare l'affermazione.
Progetto del "Grande Israele": circolano sospetti e prove (come la mappa mostrata all'ONU nel 2023 che includeva Cisgiordania e Gaza) che Netanyahu e i suoi alleati abbiano un'agenda espansionistica, che punta a un controllo territoriale più ampio. Questo contrasta con qualsiasi ipotesi di uno Stato palestinese vitale.
Insediamenti e occupazione: la politica di continua costruzione di insediamenti in Cisgiordania, sostenuta dal blocco di Netanyahu, è percepita come il principale ostacolo ai negoziati diretti e alla possibilità di una soluzione con due Stati, come sottolineato anche dalla leadership palestinese.
Resistenza militare e sociale all'espansione: ampi settori della società israeliana e persino l'apparato militare si oppongono al reinsediamento permanente in aree come Gaza e a un'espansione territoriale su vasta scala, ritenuta costosa e destabilizzante per la sicurezza e la stabilità interna di Israele.
Senza un cambio di leadership in Israele, è difficile immaginare l'emergere di interlocutori aperti e fiduciosi che possano dialogare con leadership palestinesi che, come Barghouti, sostengono la formula "due popoli, due Stati". La campagna elettorale del 2026 rappresenta quindi il momento decisivo per sostenere le forze che vogliono voltare pagina rispetto all'agenda ultra-nazionalista e isolazionista di Netanyahu. Sotto produciamo, allo scopo, redatta con l'aiuto di GEMINI, una scheda informativa sia sull'opposizione politica progressista, sia sui movimenti sociali e pacifisti israeliani, fondamentali per rafforzare l'idea di un'alternativa interna a Netanyahu, evidenziando come l'obiettivo di una pace possibile non sia solo esterno, ma abbia profonde radici nella stessa società civile israeliana.
Chi poi, sempre in ambito pacifista, lavora sul versante palestinese, sfuggendo da identificazioni puramente emotive ed improprie (non siamo nati e non diventeremo feddayn con un colpo di bacchetta magica; ed è probabile che il Paradiso di certi islamisti con le 70 vergini promesse ai "martiri" non rientri francamente tra le nostre aspirazioni), non può ignorare che, anche da questo polo del conflitto, esistono delle realtà politiche da privilegiare, più consone ai nostri valori e indirizzate alla meta comune da raggiungere. Bisogna oggi, ad esempio, al di là degli slogan roboanti ed al loro significato effettivo sulla "Palestina libera dal fiume al mare", aiutare chi, a Gaza, persona comune, tenta di sfuggire alle esecuzioni sommarie dei miliziani di Hamas. Il 19 ottobre (ieri per lo scrivente) ad esempio l'Avvenire riporta la testimonianza di un medico chirurgo, Momen, che cambia giaciglio ogni notte proprio per fuggire le rappresaglie di questa feroce organizzazione di fondamentalisti islamici. Momen, di professione chirurgo medico, non è un membro di bande criminali legate a clan locali, magari fomentate da Netanyahu, ma un semplice testimone che sui social ha postato delle critiche contro Israele e contro Hamas. Le esecuzioni, secondo il Nostro gazawi, citato dal giornalista Nello Scavo di Avvenire, non sono una novità ma "ora tutto avviene sotto gli obiettivi dei cellulari perché tutti devono vedere che Hamas non è morta".
Ricordiamo, allora, quando prendiamo posizioni pubbliche, questo giudizio di Momen, giudizio cioè - a ben vedere, se non si hanno gli occhi foderati di prosciutto ideologico - della maggioranza dei gazawi che vogliono giustamente vivere, da esseri umani che sudano e lottano per una famiglia "normale" e una comunità "normale" dal punto di vista delle libertà e dei diritti umani: "Hamas aveva trasformato la Striscia in un regime. E ora Hamas vuole restare al potere con l'unica politica che conosce: il terrore". Il terrore permanente di Hamas va ad aggiungersi ai massacri periodici perpetrati dai governi israeliani, giustificati come reazioni alle false azioni di resistenza che l'organizzazione islamista effettua. La "resistenza palestinese" che campeggia negli striscioni del cortei "per bloccare tutto" va insomma ricostruita con un suo significato e una sua consistenza reali; e la liberazione di Barghouti può rappresentare un passo essenziale in questo senso, un passo che si rivolge al protagonismo effettivo dei palestinesi stessi per quello che sono veramente, nel loro straordinario valore umano, non per le mitologie che, ad uso e consumo del ribellismo estremista astratto, imperversante in Italia, oggi li trasfigurano in "campioni della lotta globale contro l'imperialismo"...
Qui sotto riportato l'articolo citato su Avvenire, a firma di Nello Scavo.
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Muqbel Barghouti: "Mio fratello Marwan rischia di essere ucciso in carcere"
dal nostro inviato Fabio Tonacci - Repubblica 19 Ottobre 2025
L'uomo, 59 anni, mostra la casa d'infanzia a Kobar dove è cresciuto il leader palestinese, detenuto dal 2002: "Si è votato alla causa già a 10 anni, quando l'Idf sparò al nostro cane. Se ci fossero le elezioni Marwan vincerebbe, ha il 60-70 per cento del consenso"
Kobar (Cisgiordania) – «Mio fratello Marwan è come il popolo palestinese, non lo spezzeranno a forza di botte. Però in carcere possono ucciderlo, siamo molto preoccupati». A casa di Muqbel Barghouti, 59 anni, fratello minore del più popolare leader palestinese, tre cose non mancano mai: le sigarette, il succo di melograno e l'ansia per la salute del parente illustre. Siamo a Kobar, villaggio a nord di Ramallah: Marwan Barghouti, 66 anni, è nato e cresciuto qui, nella casa di famiglia che adesso è un rudere. Dal 2002 è in carcere per scontare cinque ergastoli. Per Israele è un terrorista, condannato come mandante di cinque omicidi compiuti dalle brigate armate di Fatah. La posizione della famiglia Barghouti è nota: «È stato un processo politico, senza alcuna prova».
Cinque detenuti palestinesi liberati nello scambio con gli ostaggi raccontano che a metà settembre suo fratello è stato aggredito da otto guardie carcerarie. Il governo israeliano nega l'accaduto. Cosa sapete?
Non è la prima volta che lo pestano . Durante l'isolamento, cominciato con la guerra a Gaza, è successo altre tre volte. Rompono le costole a un uomo di 66 anni, che tra l'altro è un membro del parlamento palestinese. Dov'è l'indignazione dei parlamenti del mondo? Perché gli onorevoli dell'occidente non fanno una campagna a difesa dei detenuti palestinesi? Dopo li 7 Ottobre, già 77 prigionieri uccisi nelle carceri dello Stato ebraico».
Teme che possa essere assassinato?
«Spero di no, ma durante l'occupazione sionista ho visto accadere qualsiasi cosa. Chiediamo al mondo libero di salvare Marwan Barghouti».
Cosa accadrebbe se morisse in un penitenziario israeliano?
«Non voglio nemmeno pensarci».
Quando è l'ultima volta che lo ha visto?
«Prima della guerra, nella prigione di Hadarim, stava bene».
Di cosa avete parlato?
«Di politica, ovvio… si sentiva ottimista per la Palestina e stava seguendo con interesse quello che succedeva allora in Israele, in particolare le proteste di piazza contro la riforma della giustizia di Netanyahu. Mio fratello parla ebraico, lo ha studiato in cella anche per capire i media israeliani. Mi ha ricordato di quando fece parte della prima delegazione palestinese che visitò la Knesset, nel 1997».
Suo fratello quando ha iniziato a interessarsi di politica?
«Negli anni Sessanta Kobar era una roccaforte dei comunisti palestinesi. C'era un piccolo bazar in centro dove ogni sera la gente si riuniva a parlare di politica e resistenza. E poiché non avevamo la televisione, Marwan adolescente passava le sue serate lì al bazar, ad ascoltare i grandi. A 13 anni aveva già un'opinione, mio fratello ha sempre avuto un'opinione».
Da dove arriva questa passione?
Da dove arriva questa passione?
«Perché ama il nostro popolo e la nostra terra. A 14 anni, alla sua scuola di Birzeit, hanno affidato a lui il ruolo di maestro della cerimonia quando è morto il presidente egiziano Nasser. Non era una cosa da poco».
Siete cresciuti insieme, quando è stato il momento in cui Marwan ha deciso di votarsi alla causa palestinese?
«Quando ci hanno ammazzato il cane. Viveva a casa nostra. Gli eravamo affezionatissimi, ci dava sicurezza, era un nostro amico. Nel 1969, durante un pattugliamento, i soldati occupanti israeliani gli hanno sparato. Quell'incidente è stata la leva che ha azionato in Marwan, allora aveva 10 anni, la consapevolezza dell'ingiustizia, del sentimento di oppressione e della resilienza. Avevano ucciso qualcuno che noi amavamo, senza alcuna ragione. C'è stato poi un altro momento decisivo».
Quale?
«Nel 1976, 30 marzo, durante la prima protesta dei palestinesi, dalla Galilea al Negev, nota come "land day". Sei dimostranti vennero uccisi. Marwan era il leader degli studenti di Birzeit, venne arrestato e portato alla Muqata'a, allora base delle Idf a Ramallah. Non aveva neanche 17 anni, lo trattennero per due giorni. Era la prima volta che veniva arrestato. Lo incarcerarono due anni dopo a Tulkarem, con una condanna a 4 anni e mezzo».
Perché è così amato?«Arriva da una famiglia umile, mio padre faceva il muratore. Ed è rimasto un uomo umile, generoso. E un leader nato».Lo scorso agosto è stato diffuso il video del ministro Ben-Gvir andato in carcere a dirgli che i palestinesi non avrebbero mai vinto.«L'incontro è durato 12 minuti ma hanno pubblicato solo 30 secondi. Ho provato rabbia. Se c'è uno che dovrebbe stare in carcere è proprio Ben-Gvir».
Si aspettava di vedere suo fratello fisicamente così provato?«Gli effetti di due anni di isolamento. Ma non si illudano, Marwan non si spezza».
Eravate convinti che sarebbe uscito nello scambio con gli ultimi ostaggi vivi rapiti da Hamas?«Stavolta la famiglia ci credeva davvero. Ma la destra estrema che governa Israele non vuole la pace, quindi non vuole Marwan in libertà. È spaventata dai simboli, e mio fratello è soprannominato il Mandela palestinese, faccia lei...».
Come è nato questo soprannome?
«Perché Marwan era uno suo fan, conosceva tutto della vita di Mandela. E perché come lui, è un uomo che lotta per la pace».
Quale pace?
«Quella che porterà la soluzione dei due stati e due popoli».
È vero che anche Abu Mazen è contrario al rilascio di Barghouti perché spaventato dalla sua popolarità?
«Le rispondo così: Abu Mazen poteva fare molto di più per il suo rilascio, ma non ha fatto molto».
SCHEDA INFORMATIVA SULL'OPPOSIZIONE POLITICA E SOCIALE ISRAELIANA (work in progress)
L'integrazione schematica delle informazioni sia sull'opposizione politica, sia sui movimenti sociali e pacifisti israeliani è fondamentale per rafforzare l'idea di un'alternativa interna a Netanyahu, evidenziando come l'obiettivo di una pace giusta non sia solo esterno, ma abbia profonde radici nella società civile israeliana stessa.
Il governo di Netanyahu, con le sue scelte di estremo nazionalismo militarista e il modo in cui, all'interno della partita medio-orientale, gestisce il conflitto a Gaza, sta mettendo a rischio la reputazione di Israele nel mondo e la sua stabilità interna. Questo ha portato molti israeliani a chiedere un cambiamento politico.
La politica dell'attuale governo sta provocando: 1) problemi con altri Paesi. Il controllo continuo su Gaza, sostenuto da alcuni membri del governo, sta creando tensioni sia dentro Israele che con altri Paesi. Questo potrebbe portare Israele a essere sempre più isolato a livello internazionale. 2) rischi legali. Alcune azioni del governo, come impedire l'arrivo di cibo a Gaza, sono state condannate da organizzazioni internazionali come l'ONU e la Corte Penale Internazionale. Queste critiche potrebbero trasformarsi in sanzioni o conseguenze legali che mettono a rischio la sicurezza futura di Israele. 3) problemi economici. Un'espansione militare o territoriale troppo grande non è sostenibile per l'economia israeliana. Con un PIL che viaggia poco oltre i 500 miliardi di dollari, il costo di queste operazioni potrebbe far aumentare il debito pubblico fino a causare un vero e proprio collasso economico. Un'alternativa a Netanyahu diventa fondamentale per individuare un percorso di coesistenza pacifica, poiché i leader dell'opposizione offrono una visione politica che, sebbene non unificata, include voci critiche e orientate al negoziato. L'opposizione si ritiene impegnata, nel cambiamento di guida che persegue, a: 1) superare il caos politico. L'opposizione, con partiti come Yesh Atid (di Yair Lapid) e l'alleanza di sinistra The Democrats (Labor e Meretz), sta cercando di unirsi per mettere fine al conflitto e promuovere una soluzione a due Stati. 2) difendere la democrazia. Le grandi proteste contro Netanyahu, come quelle in Kaplan e davanti alla Knesset, mostrano che molti cittadini temono un governo sempre più autoritario. Un nuovo governo potrebbe riportare equilibrio e rispetto delle regole democratiche. 3) assumersi le responsabilità. Lapid e altri leader dell'opposizione accusano Netanyahu di non aver evitato l'attacco del 7 ottobre 2023. Pensano che il conflitto venga prolungato per motivi personali, cioè ad evitare i suoi processi. Cambiare leadership aiuterebbe Israele a fare i conti con i propri errori e a ricostruire la fiducia nel futuro.
Ecco adesso una panoramica dei principali movimenti, distinti per obiettivi e metodi d'azione, che rappresentano il "retroterra culturale ed esperenziale" dell'opposizione progressista in Israele.
I. Movimenti per la pace e la coesistenza (focus binazionale)
Questi gruppi incarnano lo sforzo di trasformare "gruppi umani nemici in gruppi umani amici", lavorando attivamente per la coesistenza e il riconoscimento reciproco, in perfetta sintonia con la necessità di affermare leadership dialoganti.
1. The Parents Circle - Families Forum (Forum delle Famiglie)
Obiettivo: promuovere la riconciliazione attraverso l'incontro tra famiglie israeliane e palestinesi colpite dalla perdita violenta di affetti nei vari conflitti. Sebbene non direttamente un movimento di protesta, la sua azione genera una profonda sensibilità e una base morale per l'alternativa alla guerra.
2. Combatants for Peace (Combattenti per la Pace)
Composizione e azione: è un movimento di base unico, fondato nel 2005 da ex soldati israeliani ed ex militanti della resistenza armata palestinese. Entrambe le parti hanno abbandonato la violenza, riconoscendo che non porta ad alcun risultato.
Obiettivo: mettere fine all'occupazione e a ogni forma di oppressione, ristabilendo un quadro di vera giustizia come condizione preliminare per arrivare alla pace. Lavorano insieme, creando fiducia reciproca.
3. Women Wage Peace (Le donne portano la pace)
Composizione e consenso: fondata nel 2014, è cresciuta fino a contare decine di migliaia di donne, diventando il più grande movimento di base per la pace in Israele. Riunisce donne israeliane ed arabo-israeliane.
Obiettivo e collaborazione: lavora per fare pressione sul governo israeliano affinché raggiunga un "accordo politico bilateralmente accettabile" e per l'attuazione della risoluzione ONU 1325 ("Donne, pace e sicurezza"). Ha una stretta e solida collaborazione con l'organizzazione palestinese Women of the Sun (WOS), con cui conduce azioni congiunte.
Tattiche: hanno organizzato azioni ad alto impatto come la simbolica "Operation Protective Fast" (un digiuno collettivo) davanti alla residenza di Netanyahu, chiedendo ai politici di dare maggiore priorità ai colloqui di pace.
II. Movimenti di protesta e società civile (Focus Anti-Netanyahu e Anti-Occupazione)
Questi movimenti alimentano la richiesta di mandare a casa Netanyahu, agendo su più fronti: dalla difesa della democrazia alla richiesta di salvare gli ostaggi e porre fine alla guerra.
1. Il Movimento per la Democrazia / I "Kaplanisti"
Focus iniziale: nati in gran parte dalle proteste contro la riforma giudiziaria del 2023 voluta dal governo di Netanyahu, questi movimenti hanno mobilitato centinaia di migliaia di persone (fino a 700.000 in tutto il paese) per difendere la Corte Suprema e lo Stato di diritto, percepito come minacciato da una deriva autocratica.
Azione Anti-Netanyahu: la protesta, inizialmente concentrata in via Kaplan a Tel Aviv, ha identificato in Netanyahu e nei suoi alleati religiosi nazionalisti la fonte del caos e del danno alla "democrazia interna".
Espansione post-7 Ottobre: dopo gli attacchi di Hamas, il movimento si è allargato includendo famiglie degli ostaggi, riservisti e sfollati, e focalizzando la critica sul fallimento di Netanyahu e sulla sua gestione del conflitto, prolungata per "restare al potere e non dover affrontare i tre processi che lo attendono".
2. Gruppi Specifici di Pacifisti e Attivisti Sociali
"Penelopi": un gruppo di oltre cento tessitrici che tessono un nastro simbolico (di decine di chilometri) per unire il Parlamento (Knesset) a Gaza, chiedendo la fine della guerra e il rilascio degli ostaggi. Rappresentano la fusione tra l'azione di protesta e il desiderio di pace.
Breaking the silence: composto da ex soldati israeliani, è noto per denunciare le politiche di occupazione in Cisgiordania e le azioni del governo che non condividono, anche attraverso la raccolta di testimonianze dirette. La loro azione evidenzia la divisione interna all'establishment militare riguardo l'occupazione.
Il Fronte anti-Occupazione: sebbene meno numeroso del vasto movimento per la democrazia, esiste un "ristretto e determinato gruppo" all'interno delle manifestazioni che esplicitamente spinge per la fine dell'occupazione in Cisgiordania e della guerra a Gaza, provando ad "aprire gli occhi" del movimento più ampio sulla questione palestinese.
L'esistenza e l'attivismo di questi movimenti sociali offrono al movimento progressista non solo una base elettorale critica, ma anche una visione operativa e valoriale di come si possa costruire un futuro di coesistenza. Sostenere l'opposizione politica israeliana significa quindi dare voce e forza di governo a queste istanze di pace, giustizia e democrazia di base.
III. Movimenti palestinesi
Le organizzazioni palestinesi che lavorano con metodi pacifici per il dialogo e la coesistenza rappresentano una parte vitale della società civile che si batte per un futuro diverso. Il loro operato, spesso in collaborazione con i partner israeliani, mira a costruire la fiducia e a smantellare i pregiudizi, nonostante le enormi difficoltà derivanti dal conflitto e dall'occupazione.
Di seguito, avendo già sopra citato le organizzazioni congiunte israelo-palestinesi (cioè i Combattenti per la Pace e il Circolo dei Genitori), ecco un elenco ragionato di altri organizzazioni e movimenti, che operano principalmente in Cisgiordania (West Bank) e, in misura limitata e in circostanze estremamente difficili, a Gaza:
Organizzazioni Palestinesi per la pace e la coesistenza
Queste organizzazioni si distinguono per il loro impegno nella nonviolenza, nel dialogo people-to-people (dal basso) e nella promozione di una soluzione giusta del conflitto.
Organizzazione/Movimento Area di Attività Principale Focus e Metodi Collaborazione Binazionale
