Violenza sulle donne, violenza del sistema

26.11.2023

Alcune note per stimolare un dibattito (seguono due interventi, uno preparatorio e uno dopo l'incontro on line del 1 dicembre 2023)

Le sommarie riflessioni accennate in queste note, che discuteremo online, Disarmisti esigenti & partners, il 1 dicembre 2023, sono sviluppate in due pamphlet, che ho curato con altri autori, editi da Mimesis: "Antifascismo e nonviolenza", "Memoria e Futuro".

Link per entrare nella riunione, che si svolgerà dalle ore 18:00 alle ore 20:00:

https://us06web.zoom.us/j/89091577303

Verranno fornite istruzioni per entrare con la piattaforma Zoom: negli ultimi incontri abbiamo avuto problemi tecnici con questa modalità…

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La piattaforma della manifestazione del 25 novembre contro la violenza sulle donne a Roma ha innescato un interessante e, si spera, produttivo dibattito polemico.

È il riferimento alla guerra Netanyahu-Hamas che ha provocato divisioni.

"Non una di meno", l'associazione ufficialmente promotrice del corteo, si è schierata "con i palestinesi", parlando di "genocidio" da parte di Israele.

Per il femminismo storico, quello ad esempio facente capo al "pensiero della differenza", si tratterebbe di un "errore" che, secondo la filosofa Adriana Cavarero, andrebbe oltre la superficialità politica, sarebbe ascrivibile addirittura ad una "deriva ideologica".

"Non una di meno" ha dovuto precisare: "Siamo contro uno Stato colonialista che invade Gaza, non contro le donne israeliane". Aggiungendo, con una sua coordinatrice: "Abbiamo citato la Palestina perché è in atto una feroce aggressione ai civili. È in atto un'occupazione da anni. E che Israele sia uno Stato di occupazione lo definisce l'ONU. La guerra è l'espressione più alta del patriarcato. Dove lo stupro viene usato per il controllo. E questo è stato certamente fatto da Hamas, ma anche da altri eserciti. Come il nostro in Somalia…"

(Sul Corriere della Sera del 26 novembre 2023. Titolo del pezzo di Valeria Costantini: "A Roma simboli pro-Palestina. Nel corteo scontri tra i manifestanti").

Femminismo e transfemminismo si confrontano con posizioni non collimanti.

Adriana Cavarero è intervistata da Elisa Messina, sempre sulla stessa pagina del Corriere della Sera. Titolo dell'intervista: "Condannare Israele e non citare Hamas: un errore imbarazzante".

La giornalista Messina interpella la filosofa femminista sul riferimento, nel comunicato stampa per il 25 novembre, a Israele e "alla sua politica colonialista e razzista tesa a cancellare il popolo palestinese".

Questa la risposta: "Si tratta di un riferimento fuori contesto che (…) indebolisce l'attenzione al tema della violenza sul quale vediamo un accordo trasversale. (…) Quello della violenza sulle donne nelle guerre, degli stupri come arma, è, da sempre, un argomento forte del pensiero femminista, ovvero puntare l'attenzione su come viene trattato il corpo delle donne durante i conflitti. (…) Ma ora, facendo un distinguo così partigiano, ovvero omettendo gli stupri di Hamas, si finisce per indebolirlo e sminuirlo".

In questa discussione potremmo intervenire per sottolineare, da antimilitaristi nonviolenti, donne e uomini ispirati alla "cultura della terrestrità" (l'armonia società/Natura), i seguenti punti.

  • Sarebbe giusta una piattaforma di mobilitazione, riguardo la violenza sulle donne, non settoriale e specialistica, non limitata solo a ciò che accade nei rapporti privati (esempio: gli assalti sessuali dei maschi o le coppie gelose che scoppiano). La guerra, le guerre, vanno nominate e condannate quali "massime espressioni del patriarcato e della violenza maschilista".
  • Ma questa condanna deve avvenire non con lo spirito fazioso di chi si schiera con questo contro quel belligerante. L'approccio è sentirsi dalla parte della causa della trasformazione umana e della pace, non di chi si arruola in una "tifoseria" contro un'altra. Oggi in particolare è facile che si sia intimati di prendere le parti di Israele (identificata con il governo Netanyahu) contro i palestinesi (identificati di fatto con Hamas) o viceversa; o dei russi (identificati con il regime di Putin) contro gli ucraini (identificati con il governo Zelensky) e viceversa.
  • Essere per la pace contro le guerre significa anche essere contro il "sistema di guerra" (vedi ad esempio appello La Valle-Santoro) che organizza in diverse dimensioni e a diversi livelli la preparazione e l'uso della violenza nella competizione per la potenza e il profitto illimitati. L'oppressione delle donne, cioè la maggioranza dell'umanità (e delle minoranze etniche, culturali, religiose) è parte costitutiva di questo sistema. Oggi la rivoluzione più importante contro questa oppressione delle donne sta avvenendo in Iran contro il regime teocratico degli Ayatollah sciiti: quindi sarebbe il caso, nelle piattaforme contro la violenza sulle donne, sottolineare la solidarietà con le donne e i giovani iraniani di "Donna – Vita – Libertà". Dal punto di vista della società civile organizzata, del movimento di base, il problema principale non è, aggiungere in negativo, la "condanna degli stupri di Hamas" da eventualmente associare alla condanna dei massacri israeliani a Gaza. Il problema è, lavorare in positivo, sostenere la lotta di popolo che concretamente esprime la liberazione delle donne e scuote l'ordine internazionale dell'ingiustizia militarista e patriarcale. Se si fa mente locale, si può facilmente convenire che lotte armate che si accompagnano a "polizie morali" (incaricate di fare rispettare la Sharia contro le donne) non sono affatto condivisibili; e sicuramente meno condivisibili di lotte nonviolente che si battono contro ogni discriminazione giuridica per le donne e per le minoranze etniche e nazionali e per le persone lgbtqia+, etc.
  • En passant, va comunque ricordato che gli stupri di Hamas e compari Jihadisti il 7 ottobre ci sono stati e sono stati ben documentati. In Francia, riferendosi ad essi, Libération ha pubblicato un appello dal significativo titolo "Per il riconoscimento del femminicidio di massa"; ed il suo direttore, Serge July, ha deplorato il fatto che, a suo avviso, stiamo entrando in un clima culturale che, "contestualizzando", minimizza e giustifica le aggressioni e i misfatti. Questo atteggiamento - che spesso ricorre al motto: "Sono loro i veri assassini" - non va favorito perché non dobbiamo imparare ad usare il bilancino per gli omicidi e per gli omicidi - o femminicidi - di massa.
  • La lotta di popolo, portata avanti dagli oppressi, che auspichiamo sarebbe meglio declinarla al plurale: le lotte di popolo. Un'altra lotta delle donne da valorizzare è quella delle femministe Kurde nel Rojava, incluse quelle che combattono nelle unità guerrigliere. Questo è un punto delicato per le amiche e gli amici della nonviolenza.
  • Quindi sì a piattaforme complesse e complessive, sì alla condanna delle guerre e del sistema di guerra, sì alla solidarietà a DONNA VITA LIBERTA'. Si alla solidarietà con le resistenti kurde. Condanniamo Hamas e i massacri a Gaza, ma anche nel conflitto Israele-palestinese-arabo è meglio lavorare per sostenere chi, nei due fronti opposti, riconosce l'esistenza dell'altro e condivide la soluzione ONU dei "due popoli per due Stati". Ecco, quindi, la proposta del Comitato per liberare Marwan Barghouti e la proposta che di questa liberazione si facciano carico anche gli obiettori di coscienza israeliani (oggi anche i giovani ebrei russi che scappano dalla guerra in Ucraina).

Affrontiamo infine il discorso della cultura del rispetto della differenza e della pace contro la violenza tra i sessi: riteniamo abbia un peso molto relativo introdurre nelle scuole un'ora di educazione affettiva, sessuale e/o sentimentale… così come serve poco l'ora di educazione civica per costruire "buoni cittadini". Prima c'è bisogno di altro.

La lotta culturale deve essere, anche qui, complessiva e complessa. Proviamo ad avanzare una tesi. Il maschilismo oggi, erede del patriarcato in crisi, è parte integrante di un narcisismo coltivato con la competitività antisociale, tra "vincenti" e "perdenti", motore del sistema in cui viviamo. Senso del limite e della regola condivisa, nati dal dialogo democratico, che fissa il gioco della convivenza collettiva, non ci sono, nella dinamica narcisistica che rifiuta l'ostacolo, la perdita, il fallimento, l'errore e il dolore. L'aggressività può diventare furia omicida in soggetti fragili e/o disturbati che: 1) non accettano di rientrare tra i perdenti/falliti; 2) non accettano che una donna si rifiuti di integrarsi come oggetto che completa l'identità dell'uomo "vincente"; 3) non accettano che la donna, diventata proprietà personale nella coppia, si separi abdicando al ruolo di ancora di salvezza per l'abisso della depressione.

Su Avvenire del 26 novembre 2023, lo psicoanalista Massimo Recalcati, intervistato da Massimo Calvi, approfondisce in particolare "il mostro a due teste: narcisismo e depressione".

Secondo Recalcati, "la cultura patriarcale ha dominato in Occidente sino alla rottura degli anni Sessanta  col '68 e con i movimenti femministi". Ora però ci troveremmo in un altro tempo, con la condizione della donna profondamente mutata. "La cultura maschilista, come figlia naturale dell'ideologia del patriarcato, non è più in una posizione dominante. (...) Dobbiamo inoltre distinguere due facce di quella ideologia. Una è rappresentata dall'odio sessuofobico nei confronti delle donne. La sua incarnazione più recente è quella della polizia morale iraniana che esige la cancellazione del corpo femminile. (...) L'altra faccia (...) è quella del legame interminabile con la madre."

Il giornalista Calvi chiede a Recalcati cosa intenda di preciso. Ecco la risposta: "I legami primari non si interrompono ma tendono a prolungarsi nella vita adulta riproducendo la fusionalità e la possessione che li caratterizza originariamente. (...) La cultura del successo individuale e del principio di prestazione rende difficile l'elaborazione del fallimento e dello scacco e stimola la nascita di rapporti rifugio, adesivi, simbiotici, di nicchie narcisistiche separate dal mondo, delle specie di "reinfetazioni" fantasmatiche, riparo da una realtà precaria, minacciosa, spaesante... (...) (Nel femminicidio opera) un mostro a due teste. La prima è quella del narcisimo, la seconda è quella della depressione. La violenza maschilista come spinta al dominio sul partner esalta la dimensione narcisistica. Ma essa porta con sé anche il gelo e il buio sconfinato della depressione. <Ti domino sino al punto di ucciderti in modo tale che tu non possa mai abbandonarmi perché se tu mi abbandonassi non resterebbe niente di me>".

Ancora Calvi interpella Recalcati sulla dissoluzione della figura paterna, che andrebbe distinta dal "principio paterno". La "rappresentazione patriarcale della paternità" sarebbe da individuare nel padre che detiene il potere facendone un uso sadico che genera violenza anziché limitarla. "Diversamente il principio paterno introduce una Legge che sa contenere la violenza nella misura in cui ricorda che l'essere umano non può essere tutto. E' questa, infatti, l'origine prima della violenza umana: la spinta a voler essere tutto. E' quello che accade nel nostro tempo..."

Il compito di guarire la ferita narcisistica nelle persone, patologia oggi imperante, ricorrendo alla cultura della partecipazione democratica è sì delle agenzie educative, in primo luogo della famiglia secondo Recalcati; ma forse - diciamo noi - soprattutto dei movimenti sociali che ridanno senso, nella liberazione collettiva, ad un altro modo, meno tossico e più naturale, di affrontare la vita…

PRIMA DELL'INCONTRO ON LINE SU PIATTAFORMA ZOOM DEL 1 DICEMBRE 2023 (dalle ore 18:00 alle ore 20:00) 

UNA VITA UMANA CHE NON NASCE DA DONNA?

Su "Donne che allattano cuccioli di lupo", libro di Adriana Cavarero appena uscito per i tipi di Castelvecchi, la filosofa femminista, sostiene che la sfera del nascere sigillerebbe la complicità delle donne con la Natura. Sarebbe lo "strano potere" della procreazione, tramandato da madre in figlia, a rendere possibile la rigenerazione continua della vita.

La premessa è una citazione di Adrienne Rich: "Tutta la vita umana sul nostro pianeta nasce da donna. L'unica esperienza unificatrice, incontrovertibile, condivisa da tutti, uomini e donne". 

Tra i capitoli che compongono il libro troviamo un "Breve intermezzo autobiografico". A pagina 90, in questo capitolo, la Cavarero parla di un "dispositivo censorio che scatta (quando si affronta) il discorso sulla maternità: l'inimicizia femminista per il dato biologico"; ed in questo senso racconta una vicenda esemplare che le è capitata.

"Nel corso della revisione editoriale di un mio testo sulla maternità, scritto in inglese, mi è stato suggerito di evitare la parola women sostituendola con persons with uterus o menstruating persons. Anche se io l'incontravo per la prima volta, si tratta di una prassi emendatoria ormai diffusa, finalizzata all'uso di un linguaggio politicamente corretto perché inclusivo. (...) In verità, è facile osservare come migliaia di donne che hanno subito l'asportazione dell'utero e milioni di donne in menopausa, io compresa, verrebbero escluse da tali espressioni inclusive (...). Il punto è che la recente normatività del linguaggio inclusivo produce un evidente biologizzazione del discorso. (...) Del resto, lo stesso fenomeno ispirato ai diritti delle minoranze e, in particolare, nella galasia LGTBQ+ è osservabile anche nell'ambito dell'odierna discussione sulla cd "maternità surrogata", non a caso nominata come "gestazione per altri" o "utero in affitto". Forse perché ho passato gli ultimi anni a riflettere sulla maternità e sulle sue rappresentazioni ipertrofiche, non cessa di colpirmi il fatto che la posizione teorica che opera la sostituzione del termine "donna" con "persona con utero" è la stessa che riduce le madri surrogate a un utero. La storica diffidenza del femminismo verso il riduzionismo biologico, se non verso la biologia, sfociata in campo post-strutturalista nell'affermazione che il sesso biologico non sia un fatto, bensì un prodotto del discorso, deve oggi confrontarsi con un prepotente ritorno della biologia, spesso ridotta a parcellizzazione anatomica, nelle strategie discorsive della liberazione delle minoranze oppresse (...). Mi sono chiesta spesso se il nodo di tutta la faccenda non stia proprio nel pregiudizio cognitivo che comanda di guardare con occhi ostili alla biologia, pur non impedendo alle recenti strategie liberatorie di ri-biogilizzare il discorso in chiave anatomica. (Che fortuna) vivere in un tempo in cui era ancora concesso di usare il termine "donna" - al singolare!". 

In una intervista che abbiamo già citato la Cavarero parla di "deriva ideologica" a proposito di NON UNA DI MENO, non femminista ma "transfemminista", che ha organizzato il corteo del 25 novembre anche "a sostegno della resistenza palestinese". La polemica è sull'omissione di ricordare gli stupri del 7 ottobre, sicuramente effettuati da Hamas e compari; e pubblicizzati sui social dai fondamentalisti islamici stessi (senza pudore da parte della galassia più jiadista che ruota intorno alla organizzazione finanziata da Iran e Qatar). Su questi stupri abbiamo una recente condanna delle Nazioni Unite ma insufficiente e tardiva per Israele. Ecco un post su X (ex Twitter) del segretario generale Antonio Guterres:@antonioguterres
There are numerous accounts of sexual violence during the abhorrent acts of terror by Hamas on 7 October that must be vigorously investigated and prosecuted. Gender-based violence must be condemned. Anytime. Anywhere.11:01 PM · 29 nov 2023 

E' dal Movimento del '77 che dovremmo conoscere quale è il destino inevitabile dell'estremismo che disprezza la massa degli "squalleghi". In alcuni momenti può intercettare le tendenze perfino rabbiose di ampi settori di solito "tiepidi" (qui si usa la terminologia sociologica di Alberto L'Abate, il fondatore dell'Università della pace di Firenze), ma finisce sempre per deluderli imponendo le sue narrazioni con la forza di gesti calati dall'alto. Un sintomo che il divorzio accadrà presto è l'assalto alla sede della Pro Vita, con le serrande e i vetri rotti e la rudimentale bottiglia molotov lanciata all'interno dei locali. Il gruppo milanese di NUDM leggiamo che ha giustificato il blitz: ed anche le scritte che sono state fotografate tipo "Morite merde" e "Bruciamo i Pro Vita". Ora, è del tutto legittimo manifestare il dissenso contro una "organizzazione misogina". Ma la lotta delle idee si combatte contrapponendo delle idee, non assaltando e distruggendo chi oltretutto non si è (ancora) organizzato in gruppi squadristi. O no? 

Per il popolo comune questo comportamento è scontato, ma ad esempio non lo era nel '77 per chi manifestava formando con le mani il simbolo della P38 rimanendo poi schiacciato dalla repressione della lotta armata dei brigatisti ritenuti "compagni di strada".

Naturalmente avremo i soliti minimizzatori nell'intellettualità che adora sentirsi progressisticamente provocatoria: che volete che siano due scritte su una saracinesca? Si riveleranno invece grandissimo problema nel rapporto con l'opinione pubblica proprio perché i "tiepidi" capiscono benissimo da questi segnali che è meglio non trovarsi insieme alle "teste calde" cortocircuitate mentalmente dal loro fanatismo. 

Questa situazione costituisce un problema strategico da non sottovalutare, in primo luogo negli USA e di conseguenza anche qui da noi. Dai campus delle università americane viene fuori una "cancel culture" che irrita il ceto medio basso e i "forgotten men" (ed anche women): stiamo parlando ad esempio di operai che finiscono per votare Trump perché derisi come bigotti e zoticoni nel linguaggio (e una parte magari lo purtroppo è), pur avendo tutto l'interesse economico a non lasciarsi irretire dai populisti neoliberisti (tipo il neo presidente argentino con la motosega)...

La differenza tra essere popolari ed essere populisti non è così scontata e semplice, pur tuttavia uno sforzo per effettuare "esperimenti con la verità" su basi plausibili va compiuto... 

Tornando al discorso da cui si era partiti, evitare il riduzionismo biologico non deve voler dire precipitarsi su strade astratte, prescindere del tutto dalla dimensione biologica della realtà umana. Saremmo forse contenti che - sotto la bandiera della libertà - alla fine si arrivasse a fabbricare i figli, eliminando il passaggio uterino, le "doglie del parto", con inseminazioni in provetta che includono manipolazioni genetiche? In teoria tecnicamente potremmo arrivarci, potremmo arrivare al punto di figlie e figli fabbricati che non nascono più da corpo di donna.


DOPO L'INCONTRO ON LINE SU PIATTAFORMA ZOOM DEL 1 DICEMBRE 2023 

(dalle ore 18 alle ore 20)

Le donne intervenute: Teresa Lapis, Enrica Lomazzi, Antonella Nappi, Maria Pastore, Elvira Rosa; e Valentina Catania (solo un saluto).

I femminicidi vengono correntemente riconosciuti anche sui media mainstream come la conseguenza di una SOCIETA' PATRIARCALE.

Cosa si vorrebbe significare comunemente con questa espressione? Una società in cui i maschi sono dominanti nelle istituzioni (politiche, militari, economiche, sociali e culturali) e dirigono anche sulla base di valori che giustificano l'inferiorità delle "donne". (Oggi, secondo i "transfemministi", dovremmo parlare di "persone con l'utero". Altrimenti si ricadrebbe nel "binarismo" "anti-fluido" refrattario all'"intersezionalità". Ma - a dire il vero - quando si tratta di ricevere soldi e sedi dallo Stato, parlare di "donne" continua a fare comodo...).

Si discute quanto questo sistema sia oggi in crisi (i maschi avvertirebbero una forte perdita di potere) e comunque si rinvia alla possibilità di una società diversa grazie al ruolo sovvertitore che si sono presi le "donne" nei confronti degli "uomini", intesi non come singoli individui ma come "genere" plasmato appunto dal patriarcato.

La domanda che a questo punto occorre porsi è: il "movimento transfemminista" è il nuovo soggetto rivoluzionario al posto del vecchio proletariato, che deve "bruciare tutto" affinché sia compiuta la grande trasformazione sociale? Sarebbe questo movimento il protagonista del futuro del mondo, poiché solo chi subisce l'oppressione è veramente in grado di intervenire per ribaltare il sistema oppressivo? 

 A proposito del caso di Giulia Cecchettin, che ha molto colpito l'opinione pubblica, e che ha trainato il partecipatissimo corteo del 25 novembre, abbiamo già citato lo psicoanalista lacaniano Massimo Recalcati: i maschi-uomini sarebbero oggi ammalati di un narcisismo patologico che li rende incapaci di autentica reciprocità. Ma è un problema solo delle "persone con il pene" o riguarda anche le "persone con l'utero"? Dobbiamo pensare che le femmine siano più buone "per natura" mentre i maschi sarebbero, sempre per costituzione biologica, per DNA, predisposti all'uccidere? 

Un punto su cui riflettere è se sia essenziale impostare una analisi generale della società in cui possa trovare una sua spiegazione il fatto indiscutibile che la violenza non è praticata solo dalle "persone con il pene", per quanto possa esplicarsi in questo senso la violenza sulle "persone con l'utero" (e sulle minoranze LGTBQ+ etc...). Ricordiamo che, oggi più di ieri, le guerre non vengono fatte solo da maschi, e leader politiche negli ultimi anni hanno scatenato conflitti armati sanguinosi, come Indira Gandhi, Margaret Thatcher e Golda Meir.  Il patriarcato, in crisi o meno, insomma andrebbe considerato solo una componente del sistema della violenza e della guerra, che comprenderebbe militarismo, nazionalismo e capitalismo, specie nella sua estrema forma finanziarizzata. Questo sistema evolve spontaneamente verso il divorzio dalle basi naturali.

 L'antropocentrismo è di default androcentrismo, informato dalla paura del morire: si oppone al biocentrismo in cui la nascita viene considerata invece evento centrale rispetto alla morte. Le élites del sistema aspirano innaturalmente all'immortalità su questa Terra. E su questo fine vanno modellando la Tecnologia che deve consentire a un pugno di oltre-umani di elevarsi, rompendo la gabbia del biologico, controllando e, se necessario, anche sterminando la grande massa che resta destinata a rimanere sommersa nella sua "dimensione animale". Di qui il problema politico e per nulla affatto filosofico. Possiamo consentire che la Tecnologia guidata dalla Tecnocrazia tenda verso il superamento della nascita da corpo di donna, producendo mostruosità e disastri, al di là delle comodità immediate promesse ed in parte attuate? Alla fin fine: la Tecnologia dobbiamo orientarla, con un movimento sociale che imponga regole e controlli, verso una armonizzazione con i cicli naturali (la "terrestrità"), nella partecipazione democratica? Oppure dobbiamo lasciare che i poteri androcentrici la continuino a guidare verso l'automatismo delle macchine, con l'Intelligenza Artificiale che sostituirà l'homo sapiens nella presunta gerarchia delle specie?


Mettere fine al femminismo coloniale nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne - Collettivo femminista palestinese (palestinianfeministcollective.org)

Mettere fine al femminismo coloniale nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne

In occasione della Giornata Internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne, il Collettivo Femminista Palestinese (PFC) invita le nostre compagne femministe e tutte le persone di coscienza a porre fine una volta per tutte al femminismo coloniale.

(Nostra osservazione: è il caso di chiedersi - e chiedere a queste attiviste del PFC - se il femminismo "anticoloniale" delle palestinesi debba essere per forza obbligato a tacere del'islamo-fascismo di Hamas. Le sorelle iraniane questa omissione non la fanno con lo sponsor iraniano di questa organizzazione e non risulta possano essere ascritte alla categoria delle "occidentali e colonianiste". Hamas è un movimento islamista sunnita e fondamentalista, politicamente su posizioni di estrema destra. Nella Striscia di Gaza Hamas ha messo in atto molti principi della legge islamica. Ha istituito, sull'esempio iraniano, una "polizia morale", ha vietato di consumare alcolici e ha imposto parecchie limitazioni alle donne, per esempio relative all'abbigliamento o come il divieto a girare accompagnate da uomini diversi dai propri parenti più stretti o dal proprio marito).

Per femminismo coloniale, ci riferiamo ai discorsi e alle politiche occidentali e coloniali che utilizzano il linguaggio della liberazione delle donne per giustificare invasioni, genocidi, occupazioni militari, estrazioni di risorse e sfruttamento del lavoro. Il femminismo coloniale dipinge le donne palestinesi come vittime indifese che hanno bisogno di essere salvate dalla loro stessa cultura, società e religione, mentre allo stesso tempo le rendono usa e getta, minacciose e meritevoli di morte. Queste tattiche colludono per giustificare l'occupazione sionista in corso della nostra patria, l'espulsione del nostro popolo e la guerra senza fine condotta contro la vita dei palestinesi. 

Riaffermiamo che la Palestina è una questione femminista e affermiamo che il femminismo è incompatibile con il sionismo.

La violenza sessuale e di genere è indispensabile per il colonialismo e il suo intento di eliminare i popoli indigeni, rubare le loro terre e reprimere la loro resistenza. In Palestina, il progetto coloniale sionista è guidato da un'ansia demografica che costruisce i corpi, la sessualità e le capacità riproduttive delle donne palestinesi come minacce alla sicurezza. Le madri palestinesi sono classificate come "problemi" e vengono sistematicamente negate la giustizia e la sicurezza riproduttiva. In questo contesto, lo stato coloniale israeliano si presenta falsamente come un rifugio sicuro per le donne e le comunità LGBTQ. La loro propaganda ci dipinge come violenti e regressivi, anche se veniamo violati regolarmente, indiscriminatamente e senza alcun riguardo per la nostra autonomia corporea.

Dal 7 ottobre, abbiamo assistito alla rinascita di tropi femministi liberali, orientalisti e coloniali da parte dei leader sionisti, dei media occidentali e delle femministe liberali che disumanizzano l'intera popolazione di Gaza. In questo contesto, gli uomini palestinesi sono stati descritti come aggressori e predatori sessuali lascivi e brutali, e padri senza amore che usano i loro figli come scudi umani. Il regime sionista ha strumentalizzato questi discorsi sessuali razzializzati per giustificare il suo genocidio accelerato dei palestinesi a Gaza e mentre commetteva atti di violenza sessuale e di genere attraverso una campagna di arresti di massa, umiliazioni sessuali e torture in tutta la Palestina. Né esaustive né nuove, le testimonianze e la documentazione che evidenziano queste violazioni e danni includono:

  • La brutale uccisione di quasi 15.000 palestinesi a Gaza, oltre il 70% dei quali sono donne e bambini, ha spinto il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres a dire che Gaza è diventata "un cimitero" per i bambini. Allo stesso modo, piangiamo le migliaia di uomini che sono stati uccisi per il solo fatto di essere palestinesi. Sono i nostri compagni, i nostri fratelli, i nostri padri, i nostri cari.
  • Le 50.000 donne incinte che dovrebbero partorire mentre il genocidio si svolge a Gaza, riferendosi alle loro condizioni come a un "film dell'orrore". Sono costrette a sottoporsi a parto cesareo senza anestesia o antidolorifici e partoriscono in condizioni non sterili. Donne e ragazze hanno fatto ricorso all'assunzione di pillole anticoncezionali per interrompere i loro cicli mestruali a causa della mancanza di assorbenti.
  • L'arresto e la detenzione di oltre 100 donne dal 7 ottobre come parte delle campagne di arresto in corso in Cisgiordania, a Gerusalemme e nei territori occupati del 1948. Alcune sono state rilasciate, mentre circa 84 detenute rimangono detenute. Ciò include il violento arresto e la detenzione dello scrittore palestinese Lama Khater di Hebron il 26 ottobre, che è stato minacciato di stupro mentre era detenuto dai soldati israeliani; Ahed Tamimi di Nabi Saleh il 6 novembre, accusata di "incitamento al terrorismo" sui social media, che è ancora detenuta in detenzione amministrativa; e la giornalista Somaya Jawabra di Nablus, madre di tre figli, incinta di sette mesi, rilasciata il 12 novembre agli arresti domiciliari a tempo indeterminato e con il divieto di usare Internet.
  • L'arresto e la detenzione di oltre 200 bambini nelle ultime sei settimane. Sistematicamente parlando, tra i 500 e i 1.000 bambini palestinesi vengono arrestati ogni anno. Secondo un rapporto di Save the Children-Palestine, i bambini palestinesi prigionieri subiscono violenze fisiche, mentali e sessuali e sono privati della possibilità di vedere le loro famiglie.
  • Gli abusi sessuali e le torture dei prigionieri palestinesi. Il 21 ottobre, le agenzie di stampa hanno riferito che tre uomini palestinesi in Cisgiordania sono stati denudati, picchiati, e che un soldato ha cercato di penetrare un oggetto in uno di loro. I soldati che li hanno torturati hanno girato video e foto, reificando l'uso della violenza sessuale per soggiogare i palestinesi.
  • Soldati sionisti minacciano di far uscire i palestinesi queer a Gaza per costringerli a diventare informatori delle loro comunità.
  • I sostenitori pro-Israele chiedono danni fisici e sessuali contro i palestinesi e i manifestanti pro-Palestina negli Stati Uniti e in Canada.
  • Gli abusi fisici, sessuali e verbali di volontari palestinesi e internazionali che documentano gli abusi da parte di coloni e soldati sionisti nell'area di Tuwani il 20 novembre.

Questi esempi, anche se non esaustivi, illustrano i modi multiformi in cui la violenza di genere e sessuale sono intessute nel tessuto del progetto coloniale sionista, un progetto che non solo uccide indiscriminatamente donne e ragazze, diminuisce le loro possibilità di vita e i loro mezzi di sussistenza, ma prende di mira anche la mascolinità palestinese per abusi sessuali e torture. Ti chiediamo di aiutarci a mettere a tacere il battito risonante della nostra morte lenta che il colonialismo di insediamento e le femministe coloniali scrivono nel loro linguaggio e nelle loro azioni che consentono il genocidio. 

Noi, il Collettivo Femminista Palestinese, chiediamo ai nostri alleati di:

  • Unisciti alla nostra tempesta su Twitter per fermare il femminismo coloniale pubblicando le tue testimonianze sui suoi danni e sul perché dovrebbe essere smantellato. Utilizzare gli hashtag #shutdowncolonialfeminism e #feministssaynotogenocide e taggare i nostri account sui social media;
  • Rifiutate e parlate contro i discorsi femministi coloniali quando emergono nei media, sul posto di lavoro e nelle conversazioni private, affermando che la Palestina è una questione femminista. Usa il toolkit PFC per punti di discussione e risorse. Se sei affiliato a un'istituzione accademica, usa la nostra lettera agli amministratori per contrastare la soppressione di docenti e studenti per la Palestina;
  • Organizza un corso sul femminismo coloniale e sulla Palestina come questione femminista nella tua comunità. Utilizza, insegna e impara la nostra crescente lista di letture sul colonialismo di insediamento e la violenza di genere;
  • Se sei un'organizzazione femminista, firma la lettera congiunta del Fronte Femminista e del Collettivo Femminista Palestinese che chiede la fine del genocidio e un cessate il fuoco immediato.
  • Promuovere la nostra campagna "Say No To Genocide", una collaborazione tra PFC e INCITE! Donne di colore contro la violenza, stampando e utilizzando i nostri poster e adesivi in occasione delle vostre azioni locali.

Resta sintonizzato per le azioni e gli inviti in corso man mano che questa campagna si evolve. Segui i nostri account sui social media @palestinianfeministcollective.

Per saperne di più su come i femminismi coloniali sono usati come arma contro i palestinesi e sulle intersezioni tra violenza sessuale, di genere e coloniale, date un'occhiata a questa selezione di letture:

  • Nada Elia, Più grande della somma delle nostre parti Femminismo, internazionalismo e Palestina (Pluto Press, 2023).
  • Lila Abu-Lughod, "Le donne musulmane hanno davvero bisogno di essere salvate? Riflessioni antropologiche sul relativismo culturale e i suoi altri", American Anthropologist 104, n. 3 (2002): 783-90, https://doi.org/10.1525/aa.2002.104.3.783.
  • Lila Abu-Lughod, Rema Hammami e Nadera Shalhoub-Kevorkian, a cura di, L'astuzia della violenza di genere (Durham, NC: Duke University Press, 2023).
  • Sarah Ihmoud, "Femminismo palestinese: analisi, prassi e futuri decoloniali", Antropologia femminista 3, n. 2 (2022): 284–98, https://doi.org/10.1002/fea2.12109.
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https://www.unita.it/2023/10/10/chi-finanzia-hamas-la-rete-internazionale-e-i-sostegni-allorganizzazione-che-ha-colpito-israele/<br>

Chi finanzia Hamas, la rete internazionale e i sostegni all'organizzazione che ha colpito Israele

L'UNITA' ESTERI - di Redazione Web - 10 Ottobre 2023

Secondo osservatori che citano fonti di intelligence alti dirigenti di Hamas sono al sicuro, vivono in Qatar, altri invece si trovano in Libano, in Turchia. Altri ancora si nascondono nella Striscia di Gaza. Sarebbe stato impossibile per Hamas, secondo tanti, riuscire a scatenare l'operazione terroristica "Diluvio Al-Aqsa" contro Israele senza una complessa e stratificata rete di sostenitori e finanziatori. Sembra impossibile d'altronde stabilire la mappa definitiva e quantificare il valore economico di queste alleanze. Legami e rapporti a volte anche molto controversi o almeno da decifrare perché l'obiettivo di Hamas è chiaro. "Non esiste soluzione alla questione palestinese, se non nella Guerra Santa", si legge nella sua carta costitutiva.

Hamas è nata nel 1987, fondata dallo sceicco Ahmad Yassin, ucciso nel 2004 in un bombardamento aereo israeliano. Un movimento legato a quello dei Fratelli Musulmani. L'ala militare, le Brigate Ezzedin al Qassam, è guidata dal comandante Mohammed Deif, imprendibile da vent'anni, sfuggito a tutti i tentativi di cattura israeliani. Dal 2007 e dopo la Guerra Civile di Gaza Hamas comanda nella Striscia, ha cacciato il partito Al-Fatah, che governa la Cisgiordania, che dialoga con Israele e che ufficialmente ha rinunciato alla violenza. Gestisce scuole e ospedali, aveva attaccato Israele negli ultimi anni soprattutto con lanci di razzi. Ha imposto la "sharia" nella Striscia di Gaza, istituito la "Polizia Morale".

Sono noti i legami tra l'organizzazione e Arabia Saudita e Siria oltre a Egitto, Sudan, Algeria, Tunisia. Relazioni cambiate nel tempo ovviamente. Sembrerebbe paradossale che a sostenere Hamas e a lodare l'operazione "Diluvio Al-Aqsa" sia l'Iran: il principale Paese musulmano di credo sciita che finanzia un'organizzazione della corrente sunnita. Teheran vede in Hamas e nell'organizzazione Jihad Islamica, attiva sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania, gli avamposti il nemico Israele. Ha trasferito negli anni mezzi, armi e tecnologie per costruire razzi ed esplosivi. La Repubblica Islamica è il principale nemico di Israele, punta a distruggere lo stato ebraico. Da tempo sta provando a organizzare una coalizione anti-Israele che comprende Hamas, Jihad Islamico e il gruppo Hezbollah in Libano. Secondo un articolo del Wall Street Journal pubblicato domenica scorsa, i dirigenti di Hamas e di altri gruppi armati negli ultimi tempi si sarebbero incontrati con funzionari delle Guardie Rivoluzionarie iraniane proprio in Libano, a Beirut. Gli incontri avrebbero coinvolto anche le Forze al Quds, la parte delle Guardie Rivoluzionarie attive all'estero. Durante questi sarebbe stato pianificato l'attacco, sull'asse Hamas, Hezbollah, Iran. Teheran ha smentito ogni coinvolgimento.

Il sostegno di Teheran a Hamas e Jihad Islamico riguarda anche le questioni interne ai gruppi palestinesi, in contrasto all'Autorità Nazionale Palestinese (Anp), e i campi profughi palestinesi in Libano. Qualche tempo fa Ali Khamenei aveva dichiarato come i palestinesi fossero pronti a una guerra via terra, anche perché "la più grande debolezza di Israele è una guerra via terra. Combattere con il lancio di missili non è il principale obiettivo della lotta". L'organizzazione di Hamas è da tempo divisa in varie correnti. Al momento la contrapposizione maggiore è quella tra la fazione che fa riferimento al Qatar e quella che fa riferimento all'Iran. Formalmente Doha si propone come mediatore del conflitto e sostenitore a favore della popolazione palestinese colpita dalle tensioni e dalle guerre.

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha stimato nel 2020 che Teheran aveva trasferito ad Hamas e alla Jihad Islamica oltre 100 milioni di dollari all'anno. Un sostegno aumentato dopo i fatti della Striscia tra il 2006 e il 2007 e vacillato a causa delle guerre in Siria e in Yemen dove Hamas e Iran sostenevano opposti schieramenti. Prima di ritornare saldo, evidentemente, ai livelli attuali. Il professore Andrea Molle, Associato di Scienza Politica e Direttore del Master in Studi Internazionali, Chapman University, ricercatore senior per START InSight (Lugano), ha spiegato a RaiNews che "la dura realtà è che Hamas riceve la maggior parte dei suoi fondi tramite canali umanitari. In parte si tratta di denaro che arriva dai palestinesi espatriati in Europa e Nordamerica e da donatori privati residenti nel Golfo Persico. Sono molti gli enti di beneficenza islamici operanti in Occidente che raccolgono denaro che viene poi indirizzato verso gruppi che, sulla carta, offrono servizi sociali ma che sono controllati da Hamas". E ancora: "Il secondo canale principale è quello degli aiuti statali, o di organizzazioni internazionali, come l'Unione Europea. Si tratta di fondi molto ingenti che sappiamo essere, almeno in parte, intercettati da Hamas e altre organizzazioni terroristiche". 

Iran, il regime ha ucciso Armita Gerevand: in coma irreversibile

MEDIO ORIENTE. La sedicenne spintonata dalla polizia morale perché non indossava l'hijab

Articolo di Francesca Luci

I Mentre i giornali e le tv iraniane sono concentrate sulla guerra a Gaza, la società civile piange Armita Gerevand, che sarebbe in coma irreversibile. La sedicenne, ricoverata per una commozione cerebrale in ospedale dal primo ottobre in seguito ad un probabile spintone dei Guardiani della Hijab islamica, "colpevole" di non aver osservato il rigido codice di abbigliamento. Le autorità iraniane hanno negato l'accaduto e hanno affermato che la ragazza è svenuta dopo un calo di pressione e ha battuto la testa in una stazione della metropolitana di Teheran. Le riprese delle camere a circuito chiuso mostrano Armita senza copricapo accompagnata da due amiche che camminano verso il treno dalla banchina della metropolitana. Entrando nella carrozza, una delle ragazze viene vista immediatamente indietreggiare e cadere al suolo, prima che Armita venga trascinata priva di sensi fuori dal vagone.

Domenica le agenzie di stampa affiliate al governo hanno pubblicato un rapporto sulla «certezza della morte cerebrale di Armita». Tuttavia, lunedì i famigliari sulla base delle dichiarazioni di fonti mediche dell'ospedale Fajr di Teheran, hanno smentito le notizie sulla sua «morte cerebrale». La vicenda ha commosso l'opinione pubblica iraniana, che ricorda la triste vicenda di Mahsa Amini, morta in settembre un anno fa in custodia della Polizia morale, colpevole dello stesso "reato".
Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace, che sta scontando una pena detentiva di 10 anni, ha affermato su Instagram che «il comportamento del governo mostra il suo disperato tentativo di impedire che la verità… venga rivelata».

«È inaccettabile il comportamento dell'autorità. Armita è stata chiusa in ospedale, i familiari non hanno avuto accesso libero, non si possono intervistare i medici . Tutto è un mistero. Se non hanno nulla da nascondere perché non permettono di fare una valutazione indipendente? Il diritto della famiglia è stato sistematicamente negato». Dice Farah, giurista e attivista per diritti umani.
Continua imperturbabile il pugno duro del regime teocratico contro le donne iraniane. Negli ultimi mesi sono riapparse la polizia morale e gli agenti di controllo dell'hijab per le strade mentre i legislatori spingono per imporre sanzioni ancora più severe per coloro che violano l'obbligo del copricapo.

 

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